Batteri resistenti agli antibiotici: rischio costante di nuove pandemie

Da quando ho iniziato ad affacciarmi al complesso mondo del farmaco, la categoria degli antibiotici mi ha sempre affascinato più delle altre, per la peculiarità che hanno di eliminare esseri viventi dannosi nel nostro organismo senza danneggiare l’organismo stesso. Proprio per questa quasi magica attività, ossia portare a guarigione individui infetti spesso con febbre alta ed altri pericolosi sintomi, l’utilizzo di queste sostanze nel corso della storia è stato molto spesso inappropriato. L’inappropriatezza, oltre a causare una pessima riuscita della terapia, ha portato nel corso del tempo ad un fenomeno ben più pericoloso e con potenziali conseguenze per l’intero genere umano, l’antibiotico-resistenza: tale è il fenomeno per il quale il batterio non viene completamente debellato dall’antibiotico e, dunque, riproducendosi, produce dei ceppi geneticamente più forti perchè resistenti all’antibiotico somministrato per così dire ai suoi “antenati”. Nel 1952, ad esempio, è stato isolato un ceppo di Shigella multi-resistente (tetracicline, streptomicina e sulfamidici). Nel 1959 la resistenza multipla passò ad E. Coli, il batterio più diffuso nel nostro intestino, per trasmissione genetica. Negli anni l’antibiotico-resistenza è diventata sempre più importante, soprattutto per quanto riguarda ceppi batterici la cui sensibilità a certi farmaci sembrava indiscussa (ad esempio la Salmonella). È apocalittico lo scenario che le autorità sanitarie hanno previsto elaborando i dati forniti dagli esperti sugli effetti della diffusione di super batteri contro cui i tradizionali antibiotici non hanno efficacia. Le cause sono molteplici, ma in primo luogo sono dovute all’uso inappropriato ed eccessivo degli antibiotici da parte dei medici, che li impiegano e li prescrivono anche quando non sono clinicamente indispensabili, e al cattivo utilizzo da parte dei pazienti che, molto spesso, smettono di assumere il farmaco alla scomparsa dei sintomi (per esempio appena sparisce la febbre) senza finire il ciclo completo, in modo tale da far sopravvivere ceppi che acquisiranno in futuro resistenze ai farmaci mal utilizzati. Paul L. Marino, riguardo l’abuso degli antibiotici che potrebbe portare a resistenze, coniò due semplici e concise regole riguardo l’utilizzo di queste sostanze: “La prima regola degli antibiotici è cercare di non usarli, la seconda è cercare di non usarne troppi”. Il problema è ulteriormente aggravato dall’auto-prescrizione, ossia utilizzo senza la prescrizione di un medico qualificato, dall’uso non terapeutico degli antibiotici come promotori della crescita in agricoltura e per situazioni in cui il loro uso non è giustificato (per esempio nei casi in cui le infezioni possono risolversi senza trattamento). L’abuso di penicilline ed eritromicina negli anni ’50, al tempo considerate vere e proprie “cure miracolose”, hanno portato a resistenze emergenti e via via sempre più importanti fino ad annullarne quasi la potenza ai giorni nostri. Ma il problema più angosciante e potenzialmente quello letale per l’intera specie umana riguarda l’uso terapeutico degli antibiotici negli ospedali, in cui si è visto un aumento di multi-batteri resistenti agli antibiotici. Un esempio importante e attuale di antibiotico-resistenza è la meticillino-resistenza relativa agli stafilococchi e, in particolare, Staphylococcus aureus. Un altro importante esempio di antibiotico-resistenza è la vancomicino-resistenza degli enterococchi. Sì, proprio la vancomicina, uno degli antibiotici più potenti conosciuto al giorno d’oggi. Questi due tipi di resistenza rappresentano la maggior parte di antibiotico-resistenze nosocomiali. Sono attualmente riportati alcuni batteri di sala operatoria resistenti a qualsiasi tipo di antibiotico da noi conosciuto ed utilizzato. Ciò significa che se uno di questi ceppi uscisse fuori dall’ospedale si rischierebbe una pandemia senza precedenti, e dagli esiti imprevedibili. Il professor Roberto Mattina, ordinario di Microbiologia Clinica e Direttore della Scuola di Specializzazione in Microbiologia e Virologia dell’Università degli Studi di Milano, afferma senza alcuna esitazione che “l’antibiotico-resistenza è un pericolo simile al terrorismo. Malattie come la meningite, la tubercolosi, il tifo, le polmoniti e molte altre ancora che attualmente sono curabili con gli antibiotici, potrebbero causare la morte di migliaia di pazienti”. Già al G8 del 2013, tenutosi in Gran Bretagna, il primo ministro Cameron aveva lanciato un appello per la lotta ai batteri resistenti definendola una priorità globale e allertando sul rischio che l’intero pianeta piombasse in un’era post-antibiotica, cioè in un’epoca del tutto simile a quella precedente alla scoperta di questi preziosi farmaci, quando polmonite e influenza erano malattie mortali. Purtroppo nello sviluppo di nuovi antibiotici non si sono fatti grossi passi in avanti nell’ultimo decennio: significa che attualmente stiamo usando quelli “vecchi” quasi di dieci anni e questo spiega in parte la resistenza sviluppata dai batteri. Tutto aggravato dal fatto che imminenti introduzioni sul mercato di farmaci innovativi non ce ne saranno e tutto lascia supporre che fino al 2020 la situazione rimarrà invariata. Diverse organizzazioni interessate al tema della resistenza agli antibiotici sono attive nell’esercitare pressioni per un miglioramento del contesto normativo. Tali attività vengono organizzate e coordinate dal Centro statunitense per il controllo e la prevenzione delle malattie, la Food and Drug Administration (FDA), e il National Institutes of Health (NIH), e coinvolgono anche diverse altre agenzie federali. In Francia, a partire dal 2002 una campagna del Governo dal titolo “Gli Antibiotici Non Sono Automatici” ha portato ad una significativa riduzione delle prescrizioni superflue di antibiotici, specialmente nei bambini. Tuttavia i ritardi nelle azioni normative e legislative per limitare l’uso di antibiotici sono comuni, e possono includere la resistenza a questi cambiamenti da parte delle industrie, così come il tempo dedicato alla ricerca per stabilire un collegamento causale tra l’uso di antibiotici e comparsa di malattie incurabili batteriche. Paradossalmente la ricerca di nuovi farmaci che incontrano minore resistenza non è una grossa priorità per le aziende in quanto si tratta di un campo che richiede forti investimenti, che le case farmaceutiche si sono mostrate riluttanti a fare, soprattutto perché si prevede che gli eventuali nuovi antibiotici avranno un utilizzo scoraggiato dai medici su vasta scala al fine di ritardare lo sviluppo di farmacoresistenze, un’eventualità considerata quasi inevitabile. Come spesso accade, quindi, è il dio-denaro più che la sopravvivenza del genere umano l’input per le scelte strategiche delle case farmaceutiche.

Fabrizio Barone


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