Dare Voce a chi non ha voce e rompere il silenzio del pregiudizio

Dare Voce a chi non ha voce: Diversamente abile o abile diversamente? Extracomunitario o Cittadino di diversa nazionalità?

Al fine di rompere il silenzio del pregiudizio

vorrei rendere i lettori partecipi della mia esperienza lavorativa presso il centro ex Eca al progetto “Prima-Vera Integrazione possibile”.

Il centro si trova in via IV Novembre, nei locali dell’EX ECA, restaurati con i fondi europei PO FESR 2007-2013- Linea di intervento 6.1.4.1.

Il nostro obiettivo è quello di creare un approccio innovativo all’esperienza umana riguardo il rischio di marginalità sociale delle fasce più deboli quali i minori diversamente abili e migranti che vivono nel nostro territorio.

In questi 2 mesi di attività strutturati attraverso:

Un centro di ascolto per le famiglie e dei laboratori di ceramica, musicoterapia, agronomia , di lingue: italiano – arabo – inglese e attività ludico-creative miranti a potenziare le capacità dei bambini e creare socializzazione e integrazione attraverso attività in gruppo e senso di appartenenza.

Ciò che abbiamo potuto constatare con mano sono i progressi di questi bambini, la loro voglia di vivere insieme alla curiosità nell’apprendere, al desiderio di essere trattati e visti come persone prima ancora della disabilità o della diversa nazione.

Le risorse in questo progetto sono impegnate per abbattere le barriere non solo quelle architettoniche ( che sono le più semplici da modificare), ma soprattutto le barriere mentali-culturali-sociali che sono alla base della non integrazione e sono le più difficili da abbattere poiché necessitano di stretta correlazione ed infinite risorse umane da parte di tutti.

Ancora oggi purtroppo il ” nascere di una disabilità ” costituisce una grossa vergogna che mette nella disperazione più nera tutta la famiglia, questo contribuisce a spiegare come siamo ancora lontani dall’avere superato anche se solo mentalmente il problema e di come sia ancora lontana la completa condivisione del diverso da noi.

Anche l’immigrato subisce spesso l’etichetta del “Diverso” in senso dispregiativo.

Viviamo in una società multietnica e aperta e credo che ci si debba abituare a dividere il proprio spazio e la propria aria sia con chi è di diversa nazione che con chi abile non è; nessuno deve deve temere di sedersi al suo fianco e di parlargli, magari intorno a una tavola imbandita o dinanzi ad un meraviglioso tramonto, perché le idee, i sentimenti e l’energia di ogni individuo non sono soggetti a limiti e risiedono in ogni essere umano.

L’orientamento fondamentale nell’approccio alla partecipazione di persone con handicap deve essere ispirato da principi di integrazione, normalizzazione e personalizzazione ossia deve accogliere, proteggere e promuovere lo sviluppo integrale della persona. La disabilità noi la vediamo solo se guardiamo l’esterno delle persone ossia i loro corpi (contenitori) anziché il loro contenuto (l’anima).

Su tale esteriorità ed eventuale imperfezione spesso viene effettuata una divisione tra abili e non abili arroccandoci sempre come abili dalla parte dei migliori.

Se ci si abituasse all’esercizio del contatto delle anime, lasciando in disparte, le esteriorità capiremmo che non esistono persone di colore o persone diversamente abili, ma persone che hanno entrambi bisogni diversi, e, questi non solo a causa della differente cultura o diversa abilità fisica o mentale, ma proprio diversi bisogni perché nell’anima ognuno di noi è diverso dall’altro.

In base a questo si può sostenere che le risorse da mettere in campo non sono differenti ma uguali per tutte le persone umane e che non ci vogliono quindi particolari risorse per i non abili e per gli extracomunitari, a meno che, la voce risorse non costituisca un alibi per far poco o nulla.

Già fare e nascondersi dietro il bisogno di risorse diverse vuole dire contribuire a creare la differenza. Per non dire poi, che a volte, la ricerca delle risorse è come al solito quella materiale ed economica, come se le risorse, di cui abbiamo bisogno per aiutare i più svantaggiati siano solo le risorse economiche, certo con quelle tentiamo di mettere a tacere le nostre coscienze di individui abili e appartenenti alla nazione Italia.

Tutti noi diventeremmo protagonisti “ extra-ordinari “ della nostra vita se tutti quanti “ diversabili” e “normoabili “ cambiassimo totalmente le nostre vedute e abbattessimo le barriere socio – culturali del pregiudizio che sono nella nostra mente.

Gli “abili” devono uscire dal loro guscio – chiuso dentro il quale si sentono migliori – per tessere autentici rapporti d’amore con il prossimo, cominciando da chi è più svantaggiato, senza commiserazione, sorrisi forzati, sguardi furtivi, frasi stereotipate, ma offrendo comprensione, opportunità intelligenti e affetto.

Questo tipo di rapporto non conosce abili o non abili ma l’uomo ed è un difficile rapporto da creare che si impara vivendo la VITA in modo profondo e consapevole riguardo le nostre poliedriche e differenti capacità che fanno così bella e ricca l’umanità.

Soltanto dopo aver superato concretamente e radicalmente il problema dell’integrazione si potrà parlare di una reale svolta culturale.

Insieme alle leggi, quindi, è necessario che scendano in campo la scuola, i mass media e la sensibilità di quelle famiglie che, avendo preso coscienza dell’importanza del loro ruolo educativo, formino figli più consapevoli.

Io insieme all’equipè stiamo imparando tanto da loro, soprattutto nell’interrogarci e nell’aprirci ad un mondo che non è lontano da noi, ma che è vicino, loro ci insegnano a farcela e a credere nonostante le difficoltà e i loro progressi sono la risposta a tutti gli scettici che dicono: Non è possibile. E’ crediamo che dall’ignoranza nasca la paura e dalla paura il pregiudizio. Spalancando la porta sull’altro, e mettendoci noi nella posizione non più di “diversi da” ma di “simili a“ la speranza è di piantare un piccolo seme che possa sbocciare in uno dei molteplici frutti dell’accettazione e integrazione.

Marilena Pipitone ed il gruppo dì equipe


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