I Generi

Fin dalla antichità le opere letterarie sono state suddivise in “generi” allo scopo di riunire tra di loro quelle che presentavano evidenti relazioni sia formali che tematiche. Per la Poesia tale suddivisione è classicamente costituita da: 1) Genere lirico – 2) Genere narrativo o epico – 3) Genere civile e politico – 4) Genere satirico – 5) Genere didascalico – 6) Genere drammatico. Si tratta di argomento facilmente reperibile in grammatiche e testi di linguistica ai quali pertanto si rimanda. Di un genere particolare vorrei piuttosto parlare, dal momento che è quasi sconosciuto ai più e che invece meriterebbe, secondo me, una maggiore attenzione. Si tratta del genere “Haiku”. Alla fine del IX secolo d.c. fu indetta dall’imperatore giapponese Montoku la prima contesa poetica, “uta-awase”, una sorta di premio letterario di corte che da allora ricorre annualmente come gara imperiale alla quale partecipano migliaia di giapponesi di ogni estrazione. Sono i cultori appassionati dello Haiku, che origina da quegli “uta-awase” dapprima come “tanka”, 5 versi di 5-7-5-7-7 sillabe, poi come “kusari-renga” o poesia a catena, per diventare infine Haiku, breve componimento di tre versi di 5-7-5 sillabe per quella vocazione storica di questo genere a togliere parole più che ad aggiungerne. Un brevissimo componimento dunque in cui i poeti dell’haiku, gli haijin, tentano di cogliere in diciassette sillabe un battito della vita dell’universo, in una dimensione evanescente senza spazio e tempo, impermanente ed eterna, che ha come tema e scenario immancabile e rigoroso la contemplazione individuale della natura in un rapporto che non è di conoscenza logica, razionale, ma di “profondità misteriosa”, tratto essenziale dello yugen, dove un piccolo rumore può fare da contrappunto al silenzio dei secoli e il poeta si fa tramite impersonale che nessuna emozione può turbare, strumento musicale che si lascia suonare da un vento incantato. Ma possono davvero 17 sillabe avere rappresentatività addirittura poetica? Per capire che ciò è possibile bisogna comprendere che nell’haiku c’è il naturalismo lirico dell’animo giapponese, con i suoi quattro stati d’animo: “1) sabi-2) wabi-3) awuare-4) yugen, cioè 1) quieta, intensa solitudine -2) capacità di cogliere con profonda calma l’essenza dei supremi destini dell’uomo in eventi minimi apparentemente insignificanti -3) la serena consapevolezza dei rimpianti e delle nostalgie per la transitorietà e caducità del tutto -4) profondità misteriosa. Un’arte, quella dello Haiku, antidescrittiva per eccellenza in quanto tutto è “essenza di apparizione”. Tra i maggiori esponenti di questo genere possiamo annoverare: Matsuo Basho (1644-1694) come massimo esponente; Buson Yosa (1716-1783); Shiki Masaoka (1867-1902); Kyoshi Takahama (1874-1959); Ippekiro Nakatsuka (1887-1946); Sekitei Hara (1889-1951); Hisajo Sugita (1890-1946); Suju Takano (1893-1976); Kakio Tomizawa (1902-1962); Koi Nagata (1900-1997). Tra quelli di Basho, uno dei più famosi haiku è: (5-7-5)

nel vecchio stagno furu ike ya

una rana si getta kawazu tobicomu

rumore d’acqua mizu no oto

mi permetto di riportarne due dei miei: (5-7-5)

rasenta il muro scanso la chiocciola,

la piccola farfalla, la nuova strada spunta

finge il ramarro. un po’ più in là

Tino Traina


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