La dimensione sessuale e affettiva nella Disabilità: nuove Prospettive…

L’handicap rappresenta una difficoltà  che ogni persona disabile incontra nel proprio percorso di sviluppo umano tendente alla realizzazione di sé. Eppure i disabili fisici e psichici che stanno percorrendo un cammino di emancipazione rispetto alla famiglia e alla società molto spesso incontrano pochissime possibilità di ascolto per parlare e confrontarsi sull’affettività e sulla sessualità, anche perché incontrano una scarsa preparazione culturale ed emozionale nel mondo dei normodotati ad accogliere questo aspetto della loro vita. La vita sessuale ed affettiva delle persone con disabilità è un tema messo sotto silenzio, su cui si addensano imbarazzo, equivoci e pregiudizi.

Spesso si mira a facilitare la loro emancipazione in termini di inserimento scolastico e lavorativo, di raggiungimento di autonomia e abilità, lasciando in secondo piano aspetti di rilievo per la crescita personale quale “la consapevolezza e l’affermazione del sé emozionale ed affettivo”(Veglia,2000).

l’incontro tra la psicologia e l’handicap e la moderna sessuologia è molto recente ed è legato essenzialmente a quei cambiamenti all’interno di queste discipline che hanno permesso di intravedere la possibilità di insegnare la sessualità in un’ottica non veramente assistenzialistica, ma piuttosto educativa nel senso più pregnante del termine” (Veglia, 1991 cit. in Fabrizi, 1997).

Diventa utile quindi spostare l’ottica attraverso la quale si guarda alla sessualità e alla disabilità insieme perché ciò che il disabile cerca non è tanto l’accoppiamento sessuale quanto la necessità di soddisfare i propri bisogni relazionali ed affettivi che spesse volte restano senza risposta.

La sessualità riporta la persona nella sua globalità, essa è concepita come componente della relazione e della comunicazione, però spesso c’è una difficoltà a vedere questo nella persona disabile perché gli aspetti legati alla sessualità sono visti come fini a se stessi.

Proprio per non permettere alle persone disabili di rinunciare alla loro sessualità, a Basilea, in Svizzera, sono al lavoro i primi dieci “assistenti sessuali” per persone disabili e ancora a Bologna è nata un’associazione che mira alla preparazione di assistenti sessuali. Tale figura ascolta, cerca di capire, anche solo con una carezza o con prestazioni prettamente più sessuali, cerca di soddisfare, dare piacere, gioia alla persona senza timori, né disagi o modalità brusche o degradanti. Aiuta cioè la persona disabile a provare meno imbarazzo e più sicurezza a rapportarsi con qualcuno, instaurando magari anche qualche relazione di tipo affettivo.

Il progetto ha ricevuto molte critiche ma l’iniziativa ha il merito di proporre finalmente una risposta concreta, forse non l’unica possibile, forse non la migliore ma pur sempre una risposta al problema della sessualità, del diritto alla sessualità delle persone disabili. L’assistente sessuale per disabili è, nei paesi che ho nominato, – ovviamente – una figura che non ha nulla a che fare con la prostituzione. Sono semplicemente  operatori specializzati che si adoperano  affinché la persona con disabilità prenda contatto con il proprio corpo e con la propria sfera sessuale. Si tratta, anche se il concetto può sembrare quasi rivoluzionario in una paese ancora molto prigioniero di tabù e pregiudizi, di una vera e propria categoria di professionisti che hanno acquisito competenze in ambito psicologico e medico, per fornire un “accompagnamento erotico”, che va dai baci, massaggi e carezze sino alla masturbazione e al rapporto completo.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità offre una definizione della sessualità che consideriamo pienamente condivisibile e che recita così: “La salute sessuale è l’integrazione degli aspetti somatici, affettivi, intellettuali e sociali dell’essere sessuato, allo scopo di pervenire ad un arricchimento della personalità umana e della comunicazione dell’essere“.

L’esistenza e la manifestazione da parte degli individui disabili di bisogni, desideri e condotte psicosessuali, contrariamente a quanto avveniva in passato, non possono più essere negate o ignorate, ma esigono pieno rispetto e impegno per una possibile la realizzazione.

Tali manifestazioni sessuali si esprimono nelle diverse tappe evolutive, in accordo con il grado e il livello di integrazione personale, di sviluppo cognitivo e fisico, di competenza relazionale e di adattamento e autonomia sociale. Ciò non significa che le difficoltà che il disabile presenta, in particolare se portatore di un handicap psichico, a livello di comunicazione verbale e non verbale, di sviluppo sociale, di integrazione emotiva, di dinamica relazionale, ecc. consentano di instaurare e mantenere relazioni affettivo- sessuali o anche solo genitali significative. Nel caso il cui ciò avvenga, è molto raro che il rapporto si trasformi in una relazione di coppia stabile e duratura. L’esigenza, infatti, di costruire legami durevoli appartiene generalmente a disabili che hanno raggiunto un buon livello di sviluppo cognitivo ed emotivo.

Queste persone devono essere aiutate e sostenute nei momenti decisivi, che riguardano l’instaurarsi e il consolidarsi del rapporto ed eventuali desideri di formalizzazione del legame o di procreazione. Ritengo, infatti, che la possibilità di manifestare e vivere i bisogni e i desideri sessuali, in accordo con il proprio grado di coscienza e capacità, sia un diritto umano fondamentale, che non deve essere ignorato ma rispettato e reso possibile. Ciò in particolare per le persone che, a causa delle loro difficoltà, necessitano dell’aiuto degli altri per realizzare la propria psicosessualità.

E’ necessario, inoltre, distinguere con precisione le pulsioni e i desideri sessuali e le condotte attuate per realizzarli, dai comportamenti che hanno un significato più ampio, poiché rimandano ad esigenze di tipo affettivo-erotiche o a bisogni di relazioni interpersonali più durevoli. Con questo si vuole sottolineare la necessità di interpretare correttamente le esigenze e le richieste del disabile, giacché alcune condotte apparentemente sessuali celano invece problematiche o richieste più diffusamente affettive e relazionali.

Tutto questo mette in luce l’importanza e le responsabilità che gli educatori hanno nel favorire la realizzazione del diritto dei disabili di esprimere e vivere la dimensione psicosessuale, al pari delle altre sfere della personalità e sempre secondo le proprie possibilità e in funzione del proprio benessere. Il presupposto fondamentale che consente agli educatori di dare una risposta efficace a tale esigenza, è la capacità di vivere senza angoscia le manifestazioni sessuali dei portatori di handicap, evitando atteggiamenti repressivi o di negazione.

E’ opportuno che gli educatori siano in grado di gestire adeguatamente i comportamenti del disabile di tipo sessuale, sensuale o specificamente genitale, evitando reazioni di negazione, di colpevolizzazione o di indifferenza. Affrontare correttamente le manifestazioni psicosessuali del soggetto rappresenta, inoltre, un importante deterrente per l’instaurarsi di condotte dagli esiti spesso irrimediabili, quali sfruttamento sessuale del disabile, gravidanze o trasmissione di malattie, o che compromettono od ostacolano l’inserimento sociale del portatore di handicap, perché rifiutate o stigmatizzate a causa di pregiudizi.

L’attuazione di un’azione pedagogica efficace, in grado di promuovere il benessere e la crescita dei disabili, nei limiti e nel rispetto delle difficoltà, dipende anche dalla capacità degli educatori di operare una chiara e consapevole distinzione fra i bisogni e le condotte psicosessuali del soggetto disabile dai propri vissuti emotivi e dagli eventuali conflitti non risolti relativi alla sessualità, per dare una risposta adeguata alle esigenze della persona in situazione di handicap.

Marilena Pipitone



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