L’attruvatura

Il vocabolo siciliano “attruvatura o truvatura” sta ad indicare l’atto del ritrovamento di un tesoro nascosto da molto tempo e dimenticato da tutti. Si tratta di credenze popolari, che, assieme al fatalismo e superstizioni, risalgono al dominio arabo in Sicilia. Una ricca letteratura scritta, più i numerosi racconti orali che si tramandavano da padre in figlio, documenta come il popolo era attaccato a questa tradizione. I tesori ritrovati, per i tempi passati, erano una indiscussa realtà; evidentemente la pancia vuota di molte persone e la realtà storica di coloro che si arricchivano inspiegabilmente ed improvvisamente (come succede anche ai giorni nostri), avevano creato una psicosi collettiva fra la classe più povera della popolazione. Sempre secondo le credenze popolari, questi tesori nascosti stavano in simbiosi con l’incantesimo e la magia; il più delle volte essi erano rivelati in sogno da un parente defunto, o dalle fate che indicavano il posto preciso con tutti i particolari del rituale magico da seguire. Caso strano ma tutti questi tesori (ed erano numerosi) si potevano “spignari” (togliere l’incantesimo) solamente dalla o dalle persone indicate nel sonno; inoltre il segreto non doveva essere confidato a nessuno. Generalmente l’operazione doveva essere fatta a mezzanotte, con la luna piena e si dovevano rispettare altri rituali. L’attruvatura era nascosta nei grossi muri delle case antiche o in qualche sottoscala murato; ma il più delle volte stava sotto terra in luoghi solitari, coperti da una grossa lastra di pietra che, al momento giusto, si spostava con una semplice spinta. Seduto sopra il tesoro, come custode, si trovava uno schiavo nero, alto e robusto oppure un serpente nero, ma con la parola d’ordine essi scomparivano. Sotto c’era una grossa “quarara” (pentola di rame) o una giara di terracotta piena di “pataccuna di maregni d’oru”. Il Marengo era una grossa moneta d’oro coniata nel 1800. Purtroppo l’emozione era troppa e si finiva sempre con lo sbagliare qualche procedimento, per cui il tesoro scompariva o si trasformava in “scorci di babbaluceddi” (gusci di lumachine) o finiva in una fumata non appena era toccato. Quando ero ragazzo, sentivo sempre dire la seguente frase detta a similitudine: “Pari assittatu supra la trova”, oppure “Pari assittatu comu lu schiavu supra la trova”, dove per “trova” s’intendeva l’attruvatura, mentre lo schiavo nero, alto e robusto era considerato il custode dei tesori.Esistevano numerose storielle su tesori trovati e dissolti, per non avere rispettato il rito magico necessario; personalmente ne sentii raccontare un paio, da persone molto attendibili, per fatti successi ai loro parenti intimi. Si diceva scherzosamente che avrebbe trovato un’attruvatura chi riusciva a mangiare un melograno senza farne cadere un chicco per terra; provare per credere! Per arricchirsi senza faticare, in alternativa all’attruvatura, c’era un ambo o un “ternu ‘n siccu” come vincita al gioco del lotto. Allora si raccontavano molte storielle di persone che si erano arricchite per aver “pigghiatu un ternu ‘n siccu”; si trattava di solito di vincite misteriose, perché avvenute per merito di un sogno premonitore. Le donne anziane raccomandavano di recitare quest’orazione all’inizio della settimana e prima di addormentarsi: – Oggi è lu lunniri e dumani è lu martiri la me furtuna di luntanu si parti e si parti di luntana via veni furtuna e veni pi mia. Veni di iornu e nun mi fari cantari, veni di notti e nun mi fari scantari dammi tri nummari e fammi piggjiari! Nella seconda metà dell’800 la borghesia si era arricchita alle spalle della nobiltà in decadenza. A Castelvetrano c’è stata la famiglia Saporito, appartenente alla borghesia che, approfittando del momento storico ha formato un vero impero economico. Il popolo all’oscuro delle trame dell’alta finanza, ha risolto l’enigma con la leggenda del ritrovamento di un tesoro.

Vito Marino


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