L’epidemia di scarlattina del 1933: una storia di “buona sanità”

Premessa

In un passato non molto lontano, fin’oltre la 2^ Guerra Mondiale, la sanità pubblica viene gestita sostanzialmente dalla Municipalità. A Partanna, essa vi provvede ordinariamente tramite un ente ospedaliero, l’Ospedale S. Antonio, e degli uffici sanitari, comprendenti un medico condotto e un’ostetrica condotta per la cura degli indigenti e un ufficiale sanitario per il controllo dell’igiene pubblica.

Locali d’isolamento e di disinfezione

Nei casi di eventi epidemici, oltre alla disinfezione dei luoghi ritenuti infetti, viene praticato l’isolamento dei malati nonché la disinfezione dei loro indumenti, oggetti ed effetti d’uso. A tal uopo vengono utilizzati locali di fortuna. E’ quanto avviene, ad esempio, nel Settembre del 1910 in occasione di una temuta epidemia colerica. Mancando una struttura comunale, l’Amministrazione Civica, guidata dall’avv. Pietro Molinari, provvede a prendere in affitto i “locali del Macello Vecchio, di proprietà del sig. Caronia Antonino, per £ 35 mensili” adibendoli ad uso di disinfezione. E reitera il contratto, “per lo staglio annuo di £ 200”, anche quando viene meno il pericolo di epidemia colerica, dopo il 31 gennaio 1911, al fine di fruire stabilmente di un locale sanitario, fornito di una moderna “stufa di disinfezione” a vapore per ogni tipo di morbo contagioso. Tale stato di precarietà consiglia alla stessa Giunta Molinari di far redigere all’ing. Urso due progetti per la costruzione di un Ospedale di Isolamento e di una Stazione di Disinfezione, ottenendo i rispettivi mutui nel 1916. Purtroppo, le continue lievitazioni dei costi di manodopera e di materiale di costruzione, causati dalla crisi economica prodotta dalla Grande Guerra, impediscono l’aggiudicazione delle gare d’appalto e richiedono una prima revisione dei prezzi nella primavera del 1921 e, addirittura, una seconda nel Maggio del 1925. E tuttavia, sia nel primo che nel secondo caso, le gare non vanno a buon fine.

Le prime avvisaglie della scarlattina

Si è in questo stato di cose, quando nell’autunno del 1931 si registrano le prime avvisaglie di un’epidemia di scarlattina. I primi casi si rilevano da una delibera del 15/10/1931 in cui il Podestà del tempo, il prof. Giuseppe Sanfilippo, riferisce di un provvedimento di “piantonamento” nei confronti di tre ammalati di scarlattina. Trattandosi, infatti, di una malattia altamente contagiosa, si cerca di evitarne la diffusione mediante l’isolamento coatto dell’ammalato, assicurato ad opera di “vigilanti” cui viene corrisposta una indennità giornaliera. Oltre al “piantonamento” dei malati si provvede, naturalmente, anche alla disinfezione delle loro abitazioni e delle scuole.

Misure di contrasto del fenomeno

Malgrado le misure di contrasto messe in atto, nell’Autunno del 1932 il fenomeno della scarlattina esplode in tutta la sua gravità. Il Podestà, prof. Giuseppe Sanfilippo, cerca di adottare le misure più idonee per far fronte a quella che si presenta come una vera epidemia. Ricorrendo ad un prelevamento dal fondo a calcolo, mentre continua a provvedere al piantonamento dei malati, affronta una serie di spese per l’ufficio sanitario: “riparazione del carrettino per la disinfezione … acquisto di disinfettante … creolina … acido fonico … fiale antiscarlattinose”. Ma l’attenzione viene rivolta soprattutto al reperimento di idonei locali per un eventuale isolamento degli scarlattinosi e per la disinfezione di indumenti ed oggetti contagiati. Di fronte all’impellenza del caso, viene abbandonata l’idea di realizzare il progetto Urso già finanziato e si opta per l’acquisto di un immobile bello e pronto. La scelta cade sul Palazzo Favara e il 19/9/1932 viene stipulato il compromesso con i proprietari, signori Di Blasi e Di Benedetto. Ma qualcosa va storto e l’affare va a monte. La motivazione ufficiale della “revoca del compromesso” fa riferimento ad un presunto malcontento della popolazione per una scelta che viene considerata sbagliata in quanto il palazzo risulta “prospiciente su una traversa interna del paese che allaccia tre strade provinciali e la strada d’accesso alla stazione ferroviaria” e contiguo a innumerevoli edifici di civile abitazione. Forse, però, la motivazione vera, rintracciabile fra le righe della delibera di revoca, sembra da ricercarsi nella “ristrettezza finanziaria del Comune” di fronte alla non lieve spesa.

Misure per l’emergenza

Con l’inizio del mese di Febbraio del 1933, comunque, la macchina sanitaria entra in funzione. Il medico condotto, dr. Rocco Parisi Asaro, viene ufficialmente incaricato della Direzione dell’Isolamento e viene decretata la requisizione di due locali, uno a nord dell’abitato, in una palazzina sita in via Dalmazia, di proprietà della Banca di San Giuseppe, e una a sud in contrada Fontana, nella palazzina annessa al Mulino-pastificio, di proprietà dei signori Nastasi e C. Si provvede, pertanto alla loro sistemazione (“imbiancamento locali … lastre di vetro … vasca da bagno … elettropompa … tettoia in legno”) e alla fornitura di attrezzature (“stoviglie … portavacili … attaccapanni … sedie … brande …letti e biancheria … vasca di legno per lavare i panni”) e di presidi sanitari (“apparecchio per disinfezione … medicinali … disinfettanti … alcool denaturato … camici ”) . Nel volgere di pochi giorni le due strutture, previa “perizia tecnica e visita dei locali”, entrano in funzione, servite da adeguato mezzo di trasporto per gli scarlattinosi (“moto-carrozzella”), e da “personale di servizio” e rifornite “di generi alimentari … latte …olio e formaggi … carbonella”. Le spese sono ingenti e la somma prevista in Bilancio, £ 5.000, non basta a soddisfarle che in minima parte. Al 21/8/1933, a circa 10 mesi dall’inizio dell’epidemia, le spese affrontate ammontano a £ 40.000 e resta ancora l’incognita del futuro. Il Podestà, pertanto, delibera di chiedere al Ministero delle Finanze l’autorizzazione a contrarre un mutuo di £ 70.000 con la Banca Sicula.

Il picco dell’epidemia

Purtroppo, i timori del Podestà prendono presto corpo. A partire dal mese di Settembre, infatti, il numero dei malati aumenta al punto tale che i locali in uso risultano insufficienti. Si ricorre dapprima ai locali scolastici dell’ex Monastero di S. Benedetto e, più tardi, con l’inizio dell’anno scolastico, all’Ospedale S. Antonio. In tale struttura “non risparmiano le loro cure verso gli ammalati la Superiora delle Suore al servizio di detto Ospedale e l’infermiera inserviente”, gratificate alla fine dell’epidemia con “un compensamento” simbolico rispettivamente di £ 100 e £ 50. Sintomatica della gravità della situazione risulta la decisione del Medico Provinciale di inibire al dr. Rocco Parisi Asaro il libero esercizio professionale nonché lo stesso esercizio della Condotta Medica, di cui è titolare, fino alla cessazione del picco epidemico. E ciò, sia per l’aumentato carico di lavoro, che, soprattutto, per il maggior rischio cui si ritrova esposto e che lo porta a trasformarsi in potenziale fonte di trasmissione della malattia.

Un gesto encomiabile

In tale frangente si distingue per abnegazione e filantropismo il dr. Luigi Parisi Asaro, che fin dall’inizio dell’epidemia opera al fianco del fratello Rocco “ con vero amore e disinteressatamente” affinchè “nessuna lacuna si manifesti nell’importante servizio”. Per cui, quando il Podestà, su pressioni del Medico Provinciale e del Prefetto, si vede costretto, pur in presenza delle note difficoltà di bilancio, a sostituire ufficialmente il dr. Rocco Parisi Asaro, non ha alcuna esitazione a nominare il dr. Luigi quale “coadiutore del Medico Condotto”. E questi accetta l’incarico rinunziando ad ogni emolumento. Unica “ricompensa” sarà più tardi un “plauso per il servizio prestato gratuitamente con competenza, assiduità e zelo, curando gli ammalati con spirito umanitario e altruistico”, tributatogli dal Podestà Sanfilippo con delibera n. 124 del 5/5/1934.

Andamento dell’epidemia

La recrudescenza dell’infezione scarlattinosa, scatenatasi nei primi di Settembre si protrae per tutto il mese di dicembre del 1933. Le spese da affrontare sono sempre più onerose. Vanno dal personale di servizio ai generi alimentari e, in particolare, al latte, dall’illuminazione al riscaldamento (“legna, carbone, legna spaccata,”), dai disinfettanti ai medicinali … alla “carta moschicida”. E non trovando più capienza nel capitolo ad hoc del Bilancio, il Podestà è costretto a ricorrere alle somme (£ 19.960) “accantonate nel Bilancio in corso”, di cui chiede l’autorizzazione a disporne alla Giunta Provinciale Amministrativa. Finalmente, a partire dal gennaio del 1934 il fenomeno va progressivamente scemando. Il 6 aprile 1934 i locali di isolamento di via Dalmazia e di c.da Fontana vengono evacuati, previo indennizzo di £ 600 alla Banca di S. Giuseppe quale canone e di £ 1.300 alla ditta Nastasi e C. quale canone e risarcimento del danno subito a causa della mancata “cessione in affitto del Mulino-pastificio ai sigg. Mendola e Granola da PA”. Da quel momento, si provvede a tenere sotto controllo il fenomeno scarlattinoso mediante opera di profilassi, di disinfezione di luoghi ed oggetti e, sporadicamente, di piantonamento a quelle poche persone ancora colpite da scarlattina, la cui estrema “coda” si esaurirà nel giugno del 1936.

Dati statistici certi e presunti

I dati ufficiali relativi all’epidemia di scarlattina, nel periodo cruciale compreso tra il 6/2/1933 ed il 6/4/1934, ricavati da una relazione del Medico Condotto, dr. Rocco Parisi Asaro, parlano di “175 scarlattinosi, dei quali 36 trattati con intervento chirurgico per adenite, 60 curati per nefrite e 22 per otite”. Non si conosce, invece, il numero degli ammalati, provenienti fondamentalmente dalle fasce sociali più alte della popolazione, che fanno ricorso alle cure di medici privati, così come resta nel vago il numero dei “piantonati”. E’ confortante, comunque, il fatto che, grazie alle cure praticate e alle precauzioni messe in atto, in tale periodo e per tale causa non si registra alcun decesso.

Nino Passalacqua

 


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