A Selinunte ritorna alla luce l’agorà 33mila metri quadrati, la più grande finora scoperta

SELINUNTE – L’agorà più grande del mondo, quasi 33mila metri quadrati. E’ ritornata alla luce a Selinunte dove finalmente è stata delineata secondo le indicazioni degli archeologi. E sono balzati fuori anche gioielli e amuleti, e uno stampo che ha una storia a sé visto che è la seconda parte di un manufatto già scoperto dieci anni fa e che così ritorna perfettamente integro. A cosa serviva? Forse uno scettro, forse un oggetto rituale che non doveva assolutamente essere replicato e dunque lo stampo, diviso in due parti, era stato sepolto nel recinto sacro. Lo sta studiando Clemente Marconi, che guida una missione che vede insieme l’ Institute of Fine Arts della New York University e l’Università degli Studi di Milano in collaborazione con l’Istituto Archeologico Germanico.

Soltanto osservando le immagini realizzate con il drone ci si riesce a rendere conto dell’effettiva ampiezza di quello che doveva essere il cuore dell’antica Selinus, prima della distruzione cartaginese. Ma il mistero la avvolge ancora oggi: perché era così grande? A cosa era dovuta la forma perfettamente trapezoidale (che si può apprezzare meglio dall’alto) che sembra avesse un cuore nell’antica tomba di Pàmmilo, che gli archeologi indicano come fondatore della città? I sondaggi non hanno risolto l’enigma, attorno alla tomba e in profondità, non esiste nessuna struttura o tomba di epoca classica, solo piccole costruzioni posteriori, del periodo punico.

“Siamo nel cuore di Selinunte e grazie alle attività di pulizia, predisposte dal direttore del Parco – dice l’assessore regionale ai Beni culturali e Identità siciliana, Alberto Samonà – è possibile avere una visione d’insieme, seppure parziale, di questa immensa agorà. Dà l’idea della magnificenza di questa città e della sua straordinaria essenza, che si comprende anche dai ritrovamenti eccezionali delle missioni archeologiche. Pezzi unici che da venerdì saranno esposti al pubblico all’antiquarium”.

“Una conca vuota che impressiona per la sua ampiezza e il suo fitto mistero” dice il direttore del Parco archeologico di Selinunte, Felice Crescente – un primo esempio di musealizzazione su vasta scala che, sfruttando il contrasto creato dal diverso modo di rilasciare o assorbire la luce naturale della vegetazione diversamente trattata, restituisce un’immagine chiara e con contorni netti dello spazio visivo”.

E’ stata necessaria un’imponente operazione di scerbatura, su indicazione degli archeologi della missione dell’Istituto Germanico di Roma, ma alla fine l’antica agorà è riemersa, al centro dell’abitato e circondata da quartieri residenziali ed edifici pubblici; il centro abitato era collegato all’acropoli da una stretta lingua di terra, e si sviluppò in buona parte verso Nord, sovrapponendosi, sembra pacificamente, a un villaggio preesistente di sicelioti. Nell’agorà si concentrava la vita civile della comunità e fungeva da snodo urbanistico tra le diverse parti della città. Si pensa quindi ad un recinto sacro per il culto degli antenati, con al centro un heroòn, un monumento commemorativo per un personaggio importante, un impianto che ricalca perfettamente – ampliandolo a dismisura, praticamente il doppio – quello di Mégara Hyblaea, cellula “madre” da cui provenivano i coloni greci che fondarono Selinunte; resti di strutture in pietra e ossa di animali fanno pensare ad altari dove venivano compiuti i riti per sancire i confini dei lotti e la loro ripartizione. Sempre su questo lato dell’agorà, intorno alla metà del VI secolo avanti Cristo, fu eretto un edificio in un unico grande vano, forse un hestiatòrion, una sala per banchetti rituali dove potevano trovare posto nove grandi klìnai, i lettini su cui i greci consumavano i pasti.

In questi mesi il Parco di Selinunte, aperto anche per le visite in notturna, ospita la grande mostra Ars Aedificandi prodotta da MondoMostre, che racconta in scala 1:1 le poderose macchine usate per costruire i templi nell’antichità. Una porzione della mostra è a Cave di Cusa, altro sito straordinario dove venivano scavati i cosiddetti rocchi che trasportati su rulli di pietra, venivano poi usati per erigere i templi. Si stanno definendo in queste ore visite guidate da CoopCulture che condurranno fino alla grande agorà usando le macchinine elettriche in dotazione al parco.

Ma non sono solo queste le ultime scoperte di Selinunte: con una diretta sulla pagina Facebook del Parco Archeologico di Selinunte, ieri (22 luglio) sono stati infatti presentati i risultati degli scavi della missione diretta dall’archeologo Clemente Marconi, condotta dall’ Institute of Fine Arts della New York University e dell’Università degli Studi di Milano, con grandi risultati, soprattutto sulle prime due generazioni di vita della colonia greca. La ricerca ha interessato, principalmente, lo spazio tra il Tempio A e il Tempio O, con una trincea che ha visto la collaborazione con l’Istituto Archeologico Germanico. “Si tratta del primo caso di collaborazione tra missioni nella storia della ricerca archeologica a Selinunte e un importante esempio di collaborazione internazionale” scrive Marconi. Lo scopo era quello di datare i due templi, è stata invece individuata una sorgente vicino alle fondazioni del Tempio A: questo fa ragionevolmente ipotizzare che si tratti del primo insediamento in assoluto dei coloni di Megara Hyblaea, di fatto Selinus nasce in questo luogo.

La seconda e la terza area di scavo hanno riguardato entrambe il settore meridionale del grande santuario urbano: sono stati scoperti muri di argilla mista a cenere, con ogni probabilità recinti rituali, ma anche piastre di cottura d’argilla di tipo greco e una grande quantità di frammenti di ceramica di Megara Hyblaea, di fatto il più cospicuo finora scoperto.

E’ stata scoperta la seconda porzione di uno stampo che finalmente si ricompone, visto che la prima parte era stata rinvenuta dieci anni fa. Gli archeologi ipotizzano che servisse per uno scettro prezioso, un oggetto unico e infatti lo stampo, dopo la prima e unica fusione, era stato diviso nelle sue due componenti e seppellito nell’area sacra. E’ in programma un’indagine metallografica per comprendere che tipo di metallo (probabilmente bronzo) sia stato utilizzato per la fusione, e replicarlo.

L’ultima scoperta ha avuto luogo in laboratorio: è stato infatti ricomposto perfettamente da frammenti trovati nel 2017 in uno scavo nel Tempio R, un ciondolo in avorio a forma di sirena, databile alla metà del VI secolo avanti Cristo, importata probabilmente dal Peloponneso, e molto simile ad analoghe sculture di Delfi. Rinvenuto anche un piccolo amuleto che raffigura un falcone in pasta di vetro blu, prodotto in Egitto tra la fine del VII e l’inizio del VI secolo avanti Cristo. “È l’immagine del dio Horus (divinità del cielo e del sole) – spiega Marconi -, è uno dei più importanti oggetti di produzione egizia scoperti in Sicilia e dà l’idea della ricchezza delle dediche alla dea del tempio R”.


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