Le profonde trasformazioni sociali che hanno segnato il passaggio del nuovo millennio stanno incidendo in modo determinante anche sulla modalità di consumo di sostanze stupefacenti. Diverso è l’atteggiamento dei nuovi consumatori che, spesso, non si percepiscono nemmeno come veri tossicodipendenti. Essi in primo luogo sono consumatori di merci e di emozioni e tendono a vivere la ricerca del piacere senza un desiderio consapevole e senza alcuna progettualità. L’età in cui si comincia ad assumere droga diventa sempre più bassa. In questo contesto la ricerca del proprio soddisfacimento pare sempre più vincolata all’elemento del rischio e ad una componente di autoesaltazione che, a prescindere dall’età, sono percepiti come veri e propri assi portanti attorno ai quali organizzare la propria vita. La diffusione delle nuove droghe sintetiche, che si sono affiancate a quelle tradizionali, attestano questa tendenza. La modalità di consumo avviene attraverso un’assunzione plurima senza dipendenza da sostanze principali, mentre elemento costante è sempre più quello dell’autoaffermazione e non più dell’autoemarginazione. Accanto al tossicodipendente che ricorre al consumo di sostanze stupefacenti e che dinanzi all’incapacità di affrontare il proprio disagio segue una pulsione autodistruttiva, emerge la figura di chi esaspera la propria inquietudine in un contesto sociale che apparentemente lo rigetta. Ecco perché affrontare le nuove problematiche della tossicodipendenza vuol dire innanzi tutto riconoscere la necessità di forme differenziate di intervento. Il tossicodipendente, è sempre un uomo, una persona che scappa da sé stesso, scappa dalla vita, perché ha paura di affrontarla. È una persona che sente di non avere abbastanza forza di vivere senza l’aiuto della droga, senza alterare il suo rapporto con la realtà, il rapporto con sé stesso e il rapporto con gli altri. Ogni storia di tossicodipendenza nasce da un bisogno, da un desiderio di fuga. Alla domanda se è responsabile qualcuno? Rispondo che Il gruppo non c’entra. Credo, piuttosto, che un individuo scelga la droga perché ha un disagio profondo dentro di sé che non riesce a contrastare, ad affrontare in un altro modo. Si tratta di un disagio che ha origine dalla mancanza di punti di riferimento, di sicurezze, di equilibrio, di capacità di reagire alle problematiche, alle angosce della vita quotidiana. Pensiamo alla trasformazione che in questi ultimi trent’anni ha interessato la famiglia, con genitori spesso troppo assenti dalla vita di tutti i giorni. La società adulta, sempre più indifferente in questi ultimi anni, non si è sufficientemente presa le proprie responsabilità educative nei confronti dei giovani, pensando, erroneamente, di colmare questa lacuna con dei beni materiali. Il risultato è che i giovani si sentono sempre meno ascoltati e sempre più discriminati da una società che invece li deve vedere protagonisti in tutto. Da qui nasce quel disagio che, se non trova nel ragazzo una personalità formata da un’adeguata educazione alla socialità, lo porta a scegliere la strada più semplice e più immediata che è quella della droga. Da una sostanza stupefacente poi si passa a un’altra droga e a un’altra ancora per sortire un effetto sempre più forte che consenta al consumatore di allontanarsi dai problemi che lo affliggono, per contrastare i quali, non ha strumenti idonei. Struttura e organizzazione relazionale nella famiglia del tossicodipendente. Approfondendo quanto presentato sopra, possiamo tracciare, anche se per grandi linee, il “profilo relazionale” della famiglia del tossicodipendente (profilo riscontrabile anche in qualsiasi altra forma di organizzazione famigliare sintomatica). La famiglia, quale contesto bio-psichico e sociale di crescita e individuazione dei singoli membri, rappresenta una struttura gruppale che può ampliare la quantità degli appartenenti, lasciando però invariata la qualità strutturale dell’organizzazione relazionale. La teoria sistemica-relazionale sostiene che il nucleo centrale di questa “visione della realtà” si costituisca, sin dai primi anni di vita, intorno alla rete di rapporti più significativi in cui l’individuo si trova inserito e si traduca in un mondo di relazioni interiorizzate dal quale prendono forma vissuti e concezioni relative al sé. Ciò vuol dire che, per un individuo, a ogni momento di difficoltà e di crisi corrisponde la messa in discussione di strutture relazionali consolidate, ovvero di un modo di appartenere a un sistema di relazioni reale e fantasmatico. Non è un caso infatti che, il più delle volte, tali crisi si manifestino nei momenti della vita in cui viene richiesta all’individuo una ridefinizione del proprio status sociale. Indicativo a questo riguardo è che chi agisce il sintomo appartiene a un contesto familiare dove anche gli altri membri assumono e agiscono ruoli e funzioni complementari. La funzione della tossicodipendenza del congiunto, fornisce le condizioni necessarie per raggiungere un congruo adattamento al “copione relazionale” già strutturato nel corso delle generazioni precedenti. Sulla base di uno schema relazionale rigido, la condizione dei genitori, diventa quella di non congedarsi dalla propria funzione per continuare a occuparsi del figlio; questi col suo fare uso di sostanze dichiara, sia sul piano personale che sociale, una certa irresponsabilità e quindi la necessità che ci sia qualcuno disponibile a proteggerlo da qualsiasi forma di autonomizzazione. Nei casi in cui il paziente tossicodipendente non sia figlio unico l’organizzazione relazionale del sistema, volta al mantenimento della sua compattezza nel tempo, include anche i fratelli. Nella maggior parte dei casi i fratelli sembrano assumere una posizione paradossale tra: “competizione” e “collaborazione” con il paziente designato. Più precisamente è come se nella generazione filiale venisse messo in atto un “gioco” di alleanze (collaborazione) finalizzato a sequestrare i genitori “costringendoli” a continuare a fare i genitori, mentre loro possono rimanere nel ruolo di figli senza limiti di tempo. Questo gioco implica però il protrarsi della rivalità tra fratelli per aggiudicarsi le attenzioni di mamma e papà (competizione).È attraverso questi “intrecci familiari” che l’intero sistema “collabora” per manifestare la propria difficoltà nel riconoscersi in situazioni relazionali in grado di evolvere nel tempo. Si delinea, pertanto, una situazione in cui tutto il gruppo familiare collabora verso il raggiungimento di un fine comune muovendo da angolazioni diverse. Dunque, come si potrebbero combattere i pregiudizi di una società nei confronti di un tossicodipendente o meglio ancora di un ex-tossicodipendente? diffondendo la conoscenza più obiettiva, più reale su quello che è la tossicodipendenza. Essa è soprattutto un disagio profondo che in assenza di punti di riferimento per affrontare la vita, ti spinge a fuggire da te stesso e a questa fuga sempre più disperata corrispondono angosce, dolori, l’incapacità di affrontare la vita stessa. Ognuno di noi fa parte di quella stessa società che condanna i tossicodipendenti e credo che se anziché rimanere passivi ci arrotolassimo le maniche, ci sporcassimo le mani con la sofferenza della gente, ognuno di noi sarebbe più disponibile forse ad abbracciare l’altro, ad aiutare l’altro, ad accoglierlo, a dargli una mano, piuttosto che a condannarlo, piuttosto che a relegarlo ai margini della società, come vorrebbero in tanti.
Marilena Pipitone