Dallo stemma dei Grifeo allo stemma del comune di Partanna

di Nino Passalacqua

Premessa

Il richiamo all’opera “Partanna e il suo stemma” del prof. Antonio Varvaro Bruno nell’”omaggio” rivoltogli nel numero precedente, ci offre l’occasione di rivangare l’iter che ha portato Partanna a fregiarsi dell’emblema araldico dei Graffeo/Grifeo. Commissionatagli dal Podestà del tempo, prof. Giuseppe Sanfilippo, in vista dell’adozione di uno Stemma del Comune, la Relazione in questione parte da un sommario excursus sulle vicende storiche della nostra città, contrassegnate dalla presenza puntuale e proficua del Casato dei Graffeo/Grifeo, prima Baroni e poi Principi di questa Terra, per concludersi con la proposta di assumerne lo Stemma.

   Partanna e lo Stemma dei Graffeo/Grifeo

Il Varvaro tiene a sottolineare che per circa 7 secoli, dal 1139, anno in cui Giovanni II Graffeo, con privilegio bilingue, latino ed arabo, riceve la Baronia di “Barthannah”, al 1812, anno in cui il Parlamento Siciliano decreta decaduta la feudalità nell’Isola, Partanna si fregia dello Stemma dei loro Signori, così descritto: “In campo d’oro spaccato, Grifo nero andante con branca eretta in atto di pugnare, sotto cui lista a tre sbarre azzurre (talora bande)”. Motto: “Noli me tangere”. Ne sono testimonianza le numerose riproduzioni di cui Partanna è ricca. Il più antico, oggi non più rintracciabile, e di cui il Varvaro ci dà testimonianza, si ammirava in casa del pittore locale Francesco Inzerillo, scolpito su “un bel capitello del Trecento che sormontava la colonnina centrale di una bifora”. Un altro ancor più bello, “opera autentica di Francesco Laurana (1468)”, sovrasta ancora oggi la porta d’ingresso del Salone delle Armi nella corte del Castello. Storici antichi ci parlano, inoltre, di uno scudo inquartato con gli stemmi di casa Grifeo e Paternò, “per nozze avvenute nel 1484 nel nostro Castello”. Nella nuova Matrice se ne possono ancora oggi ammirare uno all’esterno, in uno dei due riquadri sotto la cella campanaria, e quattro all’interno: nella pila d’acqua santa, già fonte battesimale (Laurana 1467); nel prospetto dell’organo (incisione lignea dorata, sec. XVII); sul frontespizio della tribuna (V. Messina, 1702); sul fonte marmoreo in Sacrestia. E altri ve n’erano sul pulpito ligneo e su una lapide tombale. Il Complesso Monastico delle Benedettine ne conteneva uno marmoreo sulla porta centrale (1725) ed altri tre piccoli (1686) nella chiesa. Così come uno ne conteneva la chiesa del Purgatorio sull’arco interno. Non è chiaro se si tratti dello stemma dei Grifeo, invece, quello posto sul balcone centrale del Monte di Pietà, ma è del tutto ipotizzabile considerato che al suo interno se ne conserva uno marmoreo inquartato.

     Partanna alla ricerca di uno Stemma

Nel 1812, come si è già detto, Partanna perde il suo Stemma insieme all’onorifico titolo di “Città”, né viene provveduto a ridargliene uno nei decenni a venire. Ad onor del vero, non pochi tentativi vengono effettuati tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento per coprire tale vuoto, ma nessuno di loro va a buon fine. Il Varvaro ne ricorda quattro, ma forse sono ancor di più. Il più antico certamente si ritrova nel Dizionario dell’Amato, edito dal Vallardi nel 186. In esso il dr. Paolo Patera, nel contesto di una serie di notizie storico-artistico-etimologiche su Partanna, definite dal Varvaro “non sempre esatte”, propone uno Stemma in cui mette insieme: “Campo spaccato con fondo in alto verde, castello giallo a tre torri e tre spighe rossastre; in basso celeste mareggiato con paesaggio giallo-bianco, casa, scalinata, colonna, ruderi ed albero verde”. Altri due successivi si rifanno ad una presunta etimologia del nome Partanna che alcuni autori, quali l’Adria e l’Arezzo, vorrebbero derivato da Enna e che il Varvaro considera “falsa”. Partendo da tale discutibile etimologia, il pittore Nicolò Asaro propone un suo disegno: “Monte sopra piano verde con castello illuminato dal sole e in alto la scritta PARS-ENNAE”. Altro poco dissimile, a sua volta, ne propone il dr. Luigi Parisi Asaro: “Campo con monti a sinistra tra cui il sole d’oro sorgente col motto LIBERTAS nei raggi; a destra castello con 2 torri merlato ai lati e in mezzo torrione alto sull’entrata azzurra, sormontato da pennone sventolante orizzontale. Sullo scudo la dicitura PARS-ENNAE e sovra ancora la croce araldica”, quella croce che la Consulta nel 1870 aveva proposto per i comuni di oltre 3.000 abitanti. Della quarta soluzione, proposta intorno al 1892 dall’avv. Francesco Napoli, si ha contezza della sua esistenza, ma non dei particolari.

     Esigenza di uno Stemma

Arriviamo così al 1933 e alla decisione del Podestà dell’epoca di adottare lo Stemma ufficiale per il Comune di Partanna. Tutto trae origine dal Regio Decreto 11/4/1929, n. 54, che vieta ai Comuni di far uso dello Stemma dello Stato, per porre fine all’abuso da parte di quegli Amministratori Comunali che utilizzano impropriamente i simboli statali per convalidare i propri atti. A seguito di tale Decreto, la Consulta Araldica, operante presso la Presidenza del Consiglio, emana una circolare (la n. 8600/6 del 2/11/1931) per sollecitare i Comuni inadempienti ad avviare le pratiche per l’adozione del proprio Stemma e del proprio Gonfalone. Il Podestà Sanfilippo si rivolge al Varvaro convinto com’è che lo Stemma debba in estrema sintesi proporre uno o più simboli che rappresentino la storia del territorio, della comunità. E, pertanto, chi meglio del Varvaro, che ha dedicato una vita allo studio delle vicende storiche, politiche, religiose, monumentali di Partanna, può interpretare le dinamiche della trasposizione simbolica? Si tratta, infatti, di ricercare le motivazioni di una scelta, di fronte alla possibilità di operare nella linea di una continuità storica o di una assoluta discontinuità.

     La proposta del Varvaro

Posto di fronte al bivio, lo storico partannese non ha dubbio alcuno. Dopo aver rigettato le varie proposte del passato, che ricorrono ad “insegne simboliche basate o sulla fantasia o sulla falsa etimologia di Partanna, cui mai convenne la denominazione di Pars-Ennae, in quanto mai essa fu colonia ennese o greca”, il Varvaro propende per l’adozione dello Stemma dei Graffeo/Grifeo. E ciò per due ordini di motivi. Il primo si riallaccia all’importanza del Casato. Un nome, quello dei Grifeo, “non oscuro, non indegno, nobile bensì e valoroso”. Per avvalorare tale tesi il Varvaro richiama alla memoria alcuni rappresentanti della nobile famiglia. Primo fra tutti quel Benvenuto Graffeo che nel 1339 combatte da capitano nelle acque di Lipari, dal 1354 è uno dei quattro Maestri della Magna Regia Curia di Sicilia, nel 1371 soggioga i ribelli di Catalogna e debella i Mori di Sardegna ricevendo da re Pietro IV d’Aragona la Viscontea di Galtellin in Sardegna. Ma anche quell’Onofrio Graffeo denominato “Cavaliere Vittorioso”, che nel 1411 partecipa nel Castello di Salemi alla lega per la difesa della Regina Bianca di Sicilia; nonché quel Mario Graffeo e quel Girolamo Grifeo, assurti a Pretori di Palermo rispettivamente nel 1647 e nel 1773. E richiama inoltre due nobili imprese di cui si rendono protagonisti i Signori di Partanna: la prima destinata a liberare Mazara dai Chiaramontani nel 1358, operata da 200 partannesi al seguito di Giorgio Graffeo, fratello di Benvenuto; la seconda destinata alla difesa di Messina nel 1682 da parte di 100 partannesi agli ordini di Benedetto Grifeo. Il secondo motivo richiama i rapporti tra il Casato dei Grifeo e la comunità di Partanna. A tal proposito il Varvaro sottolinea il fatto che “dei suoi discendenti nessuno mai si mostrò pessimo o tiranno, che anzi lungo la serie dei 18 Baroni e dei 9 Principi, tutti si resero sempre benemeriti della cittadinanza da loro governata”. E a dimostrazione di tale assunto ricorda che “ancora in pieno medio evo, Partanna ebbe la sua Università, ebbe cioè il suo Municipio con i suoi Giurati, d’anno in anno eletti”, con cui mai i Grifeo entrano in conflitto, con cui anzi operano in perfetta sintonia. Ne è prova il fatto che, riguardo allo stemma gli “offiziali dei secoli scorsi non adottarono se non quello dei loro Signori”. Ma, soprattutto, lo dimostra il fatto che tutto quanto nei secoli passati a Partanna sorge e tutt’oggi si ammira, lo si deve, in tutto o in parte, direttamente o indirettamente, “a quei trapassati suoi Signori”. Essi sempre concorsero ad arricchire Partanna di sontuosi edifici civili e religiosi, di opere d’arte, d’istituti di beneficenza, di opere pubbliche. D’altro canto dopo il 1870 anche Castelvetrano adottò la Palma dei suoi Principi Tagliavia con la scritta “Palmosa civica castriveterani” correggendo il motto “Palmosa Selinus” dato da Virgilio a Selinunte; Sciacca prese lo stemma antico di Giulietta Normanna; Salemi e S. Ninfa l’Aquila imperiale.

     La Delibera Podestarile

Accogliendo in toto la proposta del prof. Antonio Varvaro Bruno, il 10 marzo del 1933, con decisione n. 69, il Podestà, prof. Giuseppe Sanfilippo, “delibera assumere per il Comune di Partanna lo Stemma dei Principi Grifeo”, con l’aggiunta del Fascio Littorio, così come “caldeggiato” dal R.D. 14/6/1928, n. 1430. E, pertanto, viene adottato il seguente stemma: “Grifo nero in campo d’oro spaccato, andante, con branca in erta, in atto di pugnare, sotto cui lista a tre sbarre azzurre (talora bande), motto ‘Noli me tangere’, accollato tale stemma al fascio littorio, in modo che questo sia collocato al posto di onore, ossia alla destra araldica (sinistra di chi guarda il disegno)”.

     Il Decreto di autorizzazione

Intorno a tale deliberazione aleggia, però, una sorta di mistero. Intanto il Decreto che autorizza il Comune di Partanna a “far uso di uno stemma” arriva solo 5 anni dopo con R.D. 2 settembre 1938. E ciò che più meraviglia, esso porta, per lo Stemma, una descrizione assolutamente difforme: “d’oro al castello turrito di due merlato, aperto e finestrato di nero, sostenente un grifone passante di nero. Ornamenti esteriori da Comune”. Scomparso il motto “Noli me tangere”, sostituite le sbarre/bande con un castello turrito e, stranamente, scomparso anche il fascio littorio. Certo, non si può dire che le modifiche non abbiano apportato un miglioramento al complesso. Ma non c’è dubbio che incuriosisce il fatto che, tra il deliberato del 1933 ed il Decreto del 1938, non esista alcun atto di revoca o di modifica del precedente. Si potrebbe ipotizzare un ripensamento da parte del Podestà nel momento esecutivo del bozzetto. Ma, se l’ipotesi è plausibile riguardo al motto e al castello, è assolutamente improponibile riguardo al fascio littorio, sia per la personalità del Sanfilippo, sia per il periodo in cui i fatti si svolgono. Il mistero si tinge addirittura di una patina di umorismo quando si constata che i timbri del Comune e il cliché delle tipografie locali, fino ad alcuni anni dalla fine della guerra, in una banda posta in alto sullo scudo, lasciano intravvedere il fascio littorio, sostituito maldestramente da una stella. E, tuttavia, la soluzione finale, ufficializzata dal R.D. 2/9/1938 (di cui, duole rilevarlo, nella pratica non si tiene gran conto!) mi pare che abbia il merito di stemperare la pedissequa continuità storica senza cedere ad una bieca discontinuità.

 


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