I canti popolari e Rosa Balistreri

Nella Sicilia d’altri tempi il canto sembrava innato in ogni persona. Chi cantava era sempre il popolino, sia pure oppresso dal lavoro pesante e dai mille problemi quotidiani da risolvere.

Il canto, la danza e la musica popolare esprimono dei sentimenti istintivi dell’animo (gioia, paura, amore), che agli albori della storia dell’umanità precedettero la parola ed il ragionamento logico. Per questo motivo i popoli meno evoluti sono più sensibili al ritmo musicale.

Moltissimi popolani avevano acquisito la capacità d’improvvisare canzoni. Non si trattava di un canto erudito, ma conteneva l’espressione di una gran vitalità, ricchezza di sentimenti e passione, fantasia e delicatezza d’animo di un popolo, che lavora, subisce impotente le angherie dei prepotenti, soffre per la donna amata ed emigra in terre lontane per estreme necessità di sopravvivenza. Si tratta di melodie molto orecchiabili ma poche volte allegre.

La più grande interprete della tradizione popolare canora della nostra terra è stata certamente Rosa Balistreri. Per il genere di voce e per l’appassionata interpretazione dei brani, è stata considerata l’Amalia Rodriguez o l’Edith Piaf della Sicilia. Molto conosciuta fra gli appassionati di musica folk, resta, tuttavia, sconosciuta fra i giovani, perché è stata poco pubblicizzata. La città di Licata, che le ha dato i natali, non l’ha dimenticata ed ogni anno indice un “Memorial Rosa Balistreri” in suo onore. La cantante popolare nacque a Licata il 21/03/1927, da una famiglia molto povera; il padre, un aggiustatore di sedie, era un uomo violento, dedico al gioco ed al vino.

Rosa condusse una vita di miseria e di stenti, affrontò anche un matrimonio finito male, e per una serie di circostanze negative subì anche il carcere. Intorno al 1950 si recò a Firenze dove soggiornò per venti anni e dove trovò un lavoro presso una distinta famiglia. Da quel momento finalmente trovò la serenità e riuscì a valorizzare le sue doti canore. Qui conobbe molti personaggi dell’arte e della cultura: incontrò il pittore Manfredi, con cui visse per dodici anni, conobbe ed ebbe modo di fare amicizia con il poeta Ignazio Buttitta, che scrisse per lei diverse canzoni, ed il cantastorie Cicciu Busacca.  Nel 1966 partecipò ad uno spettacolo di Dario Fo ed ebbe l’opportunità di incidere il suo primo disco con la Casa Discografica Ricordi. Andò avanti con concerti al teatro Carignano di Torino, al Manzoni di Milano, al Metastasio di Prato ed in varie altre sedi. Partecipò a diversi seminari sulla musica popolare in alcune università.

Nel 1971 ritornò a Palermo ed ai luoghi della sua dolorosa giovinezza.  Nel 1974 partecipò, assieme ad altri cantanti folk, ad un’edizione di Canzonissima. A Palermo proseguì la sua attività artistica recitando e cantando al Teatro Biondo. Negli anni Ottanta partecipò con Anna Proclemer allo spettacolo “La Lupa”, una novella di Giovanni Verga. Continuò con successo e fino alla morte la sua attività di cantante e attrice in varie parti d’Italia, ed all’estero in Svezia, Germania, America. Ricordo che intorno al 1985 cantò anche alle Cave di Cusa in uno spettacolo estivo organizzato dal Comune di Campobello; in quell’occasione, fra l’altro, ha cantato “Signuruzzu chiuviti, chiuviti”. Allora non conoscevo la Balistreri; ma, vestita per l’occasione da vecchietta popolana con lo scialle, mi ha solo incuriosito. Mi ha trafitto, invece, nel profondo dell’anima, la sua voce penetrante e appassionata ricca di quell’antica rabbia proveniente dal mondo della scomparsa civiltà contadina, che io ho avuto possibilità di conoscere. Morì a Palermo il 20/09/1990, per un ictus cerebrale.

Rosa Balistreri era dotata di una voce originalissima, unica per il suo genere, dal timbro forte e molto scuro, triste ma ricca d’ornamenti, vibrati, e melismi; una voce inimitabile, a volte selvaggia e struggente, altre volte appassionata e piena di tenerezza e dolcezza. Un canto strozzato, angosciato, della terra arsa di Sicilia; un lamento che racchiudeva tutte le sofferenze sofferte dal contadino siciliano sotto il sole cocente e sotto il disprezzo del padrone.  Con queste doti vocali e con la rabbia in corpo affronta i problemi di una Sicilia povera, afflitta da antiche piaghe come la miseria, la siccità, la violenza, la solitudine, l’emarginazione, il sopruso e la disperazione; mali, comuni a tutto il popolo siciliano, da lei vissuti in prima persona durante la sua fanciullezza.

In lei, però, non c’è la rassegnazione dei “vinti”; nei suoi canti c’è anche la gioia e la speranza di chi sa di avere ragione. I testi da lei interpretati provengono dal ricco patrimonio dei canti tradizionali siciliani, ancora in voga nell’entroterra siciliano al tempo della sua infanzia e in parte tratti dalla raccolta da Alberto Favara, ma ha interpretato anche liriche scritte per lei da Ignazio Buttitta.

Nel suo curriculum si legge che cantava musica folk, nenie, cantilene, filastrocche e tutto quanto era frutto della cultura siciliana. E’ stata amica d’artisti e letterati come Renato Guttuso, Leonardo Sciascia, Ignazio Buttitta. Cito alcune canzoni da lei cantate, tratte dal ricco patrimonio dei canti tradizionali siciliani: – Li pirati a Palermu, Quantu basificò, La siminzina, Olì olì olà, Caltanissetta fa quattro quartieri, Guarda chi vita fa lu zappaturi, Morsi cu morsi, Lu venniri matinu, Mamma vi l’haiu persu lu rispettu, Matri ch’aviti figghi a la batia, Cummari Nina cummari Vicenza, La notti di Natali, Du’ palummi, S.Antuninu calati calati, Mi votu e mi rivotu, Ch’è autu lu suli, Murrina, Signuruzzu chiuviti chiuviti, A tirannia, ‘Nnta la Vicaria, Lu focu di la pagghia, La virrinedda, vari canti natalizi siciliani. Inoltre: Lamento per la morte di Turiddu Carnevali.

Vito  Marino

 


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