I proverbi di Partanna

Tutti i partannesi sono condizionati, invasi, vessati dai proverbi. E dato che mancano di creatività continuano a considerare i proverbi come la loro unica guida nella vita. Sconti per nessuno: neppure i più ferventi e convinti cattolici sfuggono alla tirannia dei proverbi e se la vita porta loro qualche opportunità per cambiare – magari in meglio – ecco il proverbio che spunta come uno spettro dal loro inconscio collettivo: “Cu cancia la via vecchia pi la nova sapi soccu lassa e un sapi soccu trova”. Ed ecco: il blocco, la serenità, l’annoio, l’annacamento che fanno di Partanna la città più passeggiata d’Italia dove non c’è movimento, ma un muoversi senza muoversi. I proverbi sono una maledizione antica, perfino Salomone (X secolo a. C.) ne faceva uso. Ma a Partanna la situazione assume connotati tali da assumere forme culturali profonde, filosofia di vita, weltanschauung. E non riguardano solo l’individuo, ma la collettività, visto che ogni cittadino della città dei fossi si comporta come i pettegoli di Oscar Wilde: che si può fare del pettegolezzo? Diffonderlo, diffonderlo. Mettete proverbio al posto di pettegolezzo e avrete il pettegolo partannese proverbiale. Paremìa è il vocabolo dotto italiano che corrisponde alla parola PROVERBIO che dal greco vuol dire: al posto del racconto. Si usa o per dare forza al pensiero, o usa il proverbio chi non ha idee proprie e raccatta quelle degli altri, altra notevole abitudine partannese che non crea, ma copia: quel bar funziona? Ne apro uno accanto! Quello è entrato come insegnante di sostegno? Lo faccio anch’io. E tutti giù a fare i dottori di ricerca, gli psicologi e le psicologhe: senz’anima, senza vocazione, sordi al richiamo della mission. Con i proverbi e seguendo i proverbi i partannesi sono rimasti all’età della pietra. Ma non vogliamo qui entrare né nella PAREMIOGRAFIA (la raccolta dei proverbi) né nella PAREMIOLOGIA (lo studio dei proverbi). Non ne abbiamo la competenza. A costo di essere coinvolto personalmente, voglio qui analizzare non tanto il proverbio: “Cu s’avanta cu li so denti un c’è nenti”, ma l’impatto che questo proverbio ha e continua ad avere su persone indubbiamente colte e con una posizione economica notevole. Il personale è politico: perciò parto da me, mettendoci la faccia. Sono nato povero, ho faticato a finire il Magistrale, ho insegnato come maestro molto elementare, ho fatto il Dirigente scolastico, poi il Dirigente superiore del Miur, l’unico e il solo finora a Partanna. Ma tutti mi chiamano Vito Piazza. Odio essere chiamato direttore o preside perché – per ragioni che non sto qui a ricordare – reputo quasi tutti i DS incompetenti. Ognuno ha le sue idiosincrasie: preferisco essere chiamato col nome che mi dava mia madre nei rarissimi momenti di dimostrazione d’affetto: VITUZZU, anche se ora ho 77 anni, quel chiamarmi col vezzeggiativo ha il sapore di una carezza, quella carezza che ci fa andare avanti e ci salva dagli affanni e dai dolori. Bene: ho fatto il concorso ispettivo (settemila candidati per 57 posti) per non essere confuso tra coloro che non amavo: i DS. Ma c’è qualcuno che mi chiama ispettore? O professore o direttore o Vito Piazza. Mi sono provato a correggere: sono ispettore! E subito lo spettro partannese del proverbio: Cu s’avanta cu li so denti… Ci ho rinunciato e la gente che crede di riportare un proverbio, invece mi insulta: direttore è come darmi del cretino. Il carabiniere semplice qui è appuntato, il geometra ingegnere, la psicologa con laurea a Costantinopoli psicoterapeuta… Loro no, non si vantano. Ma di che dovrebbero vantarsi? Di un curriculo raccogliticcio e confuso che imbroglia la gente? Di un fare soldi come professionisti con due lavori (maestro e imprenditore, avvocato ed enologo, professore e coltivatore diretto?). Il proverbio, in esame, etichetta in modo infamante anche chi ha svolto la sua vita all’insegna dei valori dell’ESSERE, mentre salva e dà un posto di rilievo a chi è vissuto sempre all’insegna dell’AVERE. Il bersaglio di chi dice: Cu s’avanta… vuole aggiungere l’egocentrismo come fosse egoismo. L’ignoranza dei colti confonde egoismo con egocentrismo: l’egoismo è una posizione morale, etica e si coglie solo nei fatti, l’egocentrismo è una posizione cognitiva ed è statisticamente dimostrato che gli egocentrici non sono mai egoisti. Vogliono semplicemente essere RICONOSCIUTI: vantarsi (nel senso dell’ignobile proverbio classista e razzista) non gli appartiene. Il proverbio l’hanno inventato i ricchi, da sempre spadroneggiatori di questa infelice città. Questo uno dei mali più profondi di Partanna (oltre ai fossi che sono merito precipuo del nostro sindaco): fare in modo che tutto resti com’è, nei secoli dei secoli. E si irride al nostro immigrato che torna un po’ più ricco e con una identità nuova, frutto di anni di esilio e di sacrificio. L’ipocrisia regna sovrana. E si dimentica la persona a cui si deve molto, anche il proprio posto di lavoro. Non resta che l’isolamento, l’essere e il vivere da ESTRANEO che fin quando ci saranno i proverbi a pensare al posto delle teste non avrà luoghi in cui vivere. Hic sunt proverbi.

Vito Piazza


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