La festa di li morti

Il due novembre tutto il mondo cristiano celebra la commemorazione dei defunti; in Sicilia, fino ad un recente passato, era anche una festa molto attesa per i più piccini. Per non fare perdere ai bambini la memoria dei parenti defunti, fino a qualche decennio fa, in quel giorno c’era la tradizione di portare loro dei doni e far credere, nella loro dolce innocenza, che a fare ciò erano stati “li murticeddi”. Per spiegare questo fenomeno, per loro soprannaturale, si sosteneva che i defunti, usciti dalle tombe, andassero a comprare dolciumi e oggetti vari e poi li portassero come regalo ai bambini più buoni. La delusione era forte, quando a scuola i ragazzi più grandi se ne ridevano della loro convinzione.
Secondo le condizioni economiche delle famiglie i regali erano molto vari così nella “nguantera” si potevano trovare: “calia e favi caliati, pastigghia, ficu sicchi, ranati, cutugna nuci, nuciddi, nuciddi americani (arachidi)”. Non c’è da meravigliarsi dei regali così miserevoli per i giorni nostri; ma la frutta allora era considerata un bene voluttuario. Inoltre: “Bombolona” (le caramelle artigianali di una volta), “tetù, muscardina, mustazzola, quaresimali, viscotti picanti”. I meno poveri ricevevano “li cosi di morti”, come: confetti, caramelle, cioccolatini, finte sigarette e soldoni di carta dorata o argentata ripieni di cioccolata. I dolci più caratteristici erano la frutta di “marturana” e “li pupa di zuccaru”. Questi ultimi sono reminiscenze della dominazione araba in Sicilia; si tratta di statuette di zucchero vuote di dentro con la forma di ballerina, bersagliere, soldato a cavallo con il fiocco colorato, tamburino, mentre “la marturana”, il dolce più prelibato, ebbe origine alla fine del 1812, con la venuta a Palermo di Maria Carolina d’Austria, Regina delle Due Sicilie, che andò a far visita alle monache del monastero della chiesa della Martorana; queste le offrirono dei dolci fatti di pasta di mandorla e zucchero, confezionati così bene nel colore e forma della frutta naturale, da fare rimanere stupefatta la sovrana. Per i più benestanti c’erano anche vestitini, scarpette, camiciole, giocattoli. Il tutto era sistemato su una “nguantera” ben nascosta, per stimolare un loro maggiore interesse al risveglio.
Così “lu iornu di li morti” i bambini andavano contenti con i genitori a fare visita ai cari defunti per ringraziarli dei doni ricevuti. Nella stessa ricorrenza era consuetudine da parte “di lu zitu” portare a “la zita” un cesto con “lu pupu di zuccaru”, che rappresentava una coppia di fidanzati; inoltre, per il primo anno di fidanzamento, un ombrello, più altri regali di maggior valore. Oggi questa consuetudine è quasi scomparsa, poiché i regali arrivano in ogni occasione, tutto l’anno.
Quando ero ragazzo, sulla tomba si accendevano le candele, al posto dei lumini. La cera bruciata che colava “lu squagghiumi” era comprata a peso dai commercianti, che aspettavano fuori del cimitero; i ragazzi cercavano di raccoglierne il maggior quantitativo possibile, anche chiedendo il permesso ai vicini, per avere un maggior ricavo.
Durante quel giorno, per rispetto dei defunti, i genitori vietavano severamente ai ragazzi di cantare e fare schiamazzi; la radio trasmetteva solo musica sinfonica.
E’ con sommo dispiacere constatare che questa ricorrenza, dedicata ai defunti e che interessava i bambini, scompaia, per far posto ad un’altra: “Halloween”, di origine inglese, proveniente da una cultura non nostra, che permette di festeggiare streghe e folletti dei boschi nordici. Purtroppo, oggi, come frutto indesiderato della recente globalizzazione, i popoli economicamente e militarmente più evoluti, anche se dotati di una cultura di poco valore, hanno esercitato molta influenza su altri popoli, spesso con un più ricco patrimonio di conoscenze. Così in Sicilia si sono perduti o modificati dei valori umani inestimabili, come i costumi, il modo di vivere, di pensare, di occupare il tempo libero, di lavorare, di giocare, di comunicare in seno alla famiglia e nella società. La concezione di sacralità della famiglia e di rispetto verso i suoi componenti, da noi continuava più che mai anche dopo la morte. Questa ricchezza d’animo, questa “corrispondenza d’amorosi sensi”, per come sosteneva il Foscolo, era qualcosa che noi siciliani ci portavamo dietro da millenni e nessuna colonizzazione era riuscita a portarci via.

Vito Marino


Pubblicato

in

da

Tag: