La privacy nei social network come facebook o altri

SANTA NINFA – Nel corso dell’estate ho seguito con attenzione le interviste rilasciate, qua e là, dal garante della privacy Antonello Soro. In un’intervista dal titoloIL GARANTE PER LA PRIVACY NELLA LOTTA TRA SPAZIO FISICO E SPAZIO VIRTUALE” (Specchio Economico del 4 settembre 2014, di Romina Ciuffa), alla domanda: Una «piaga» della modernità sono i social network, a partire da Facebook. Cosa fa il Garante in proposito?, il garante risponde: “I social network sono forme di comunicazione e condivisione rivoluzionarie, ma presentano dei rischi ai quali sono esposti soprattutto i giovani. Anche gli adulti non sono immuni, ma certo i giovani rappresentano il punto più fragile perché sono meno consapevoli della vita, pur essendo molto consapevoli dei danni che possono provocare o ricevere, essendo invece molto pratici nelle competenze tecniche nell’usare qualunque dispositivo, in una comunità globale che non ha confini, e che registra in modo straordinariamente ricco non soltanto le informazioni più banali, ma anche i sentimenti, le opinioni, gli orientamenti politici, i progetti di vita, le fotografie, i video. La vita di tutti gli utenti viene raccolta e resa disponibile alla conoscenza degli amici che fanno parte della comunità in maniera molto estesa. Un uso intelligente di tali strumenti dovrebbe limitare il conferimento a questo spazio fisico delle informazioni che noi saremmo disponibili a conferire in pubblico, con la certezza che vi è il medesimo rischio dell’esposizione di una propria foto alla finestra. La tendenza è quella di esporre la propria “nudità” in tutti i sensi, con un effetto controproducente. Questo pone un grande problema di educazione digitale che dovrebbe essere – e noi lo proponiamo da tempo – parte integrante del processo educativo della scuola pubblica e privata. Non si può vivere nel 2014 con programmi di studio che non abbiano come asse portante la conoscenza della realtà del mondo nel quale si vive oggi. Lo spazio digitale rappresenta una parte fondamentale del nostro mondo e noi auspichiamo che vi sia un forte impegno in questa direzione”. Il garante parla di educazione digitale da trasmettere ai nostri figli. Ma noi siamo in grado di essere dei maestri? Conosciamo la via, per poterla insegnare? Le immagini della vita pubblica lasciateci dai nostri padri sono in genere costituite da monumenti maestosi, quadri nobili, iscrizioni idealizzate. Tra i nostri antenati abbiamo Dante e Pertini. Invece, le immagini più suggestive della vita pubblica degli ultimi venti anni hanno un carattere più particolare, essendo insetti, riducendosi a pearcing, preferendo la musica del tam tam, portando nelle case sindaci in fascia tricolore a feste di compleanno, preferendo amministratori pubblici in pose enigmatiche, ed optando per docce fredde per raccogliere fondi e sostenere la beneficenza. Abbiamo come contemporanei Federico Moccia e “conquistadores” come Berlusconi e Renzi. E in tutto questo marasma di immagini reali virtualizzate, esiste un miscuglio di atteggiamenti contraddittori rispetto alla privacy. Da un lato si è pronti a calpestarla con zelo, dall’altro la si difende come un totem. Questi atteggiamenti contrastanti potrebbero essere considerati il segno di una nuova evoluzione sociale e quindi politica? E se così fosse, noi comuni mortali che veste indossiamo? Si potrebbe partire dalla considerazione che l’espansione della dimensione pubblica è dovuta alla nuova consapevolezza dell’importanza di eventi privati che in precedenza restavano occulti. Romanzi quali “Anna Karenina” o “Il sindaco di Casterbridge” raccontavano come il ruolo e la reputazione pubblica dei singoli personaggi fossero progressivamente distrutti dalla rivelazione dei desideri privati e dei peccati tenuti nascosti. Gli atteggiamenti attuali rispetto alla privacy sembrano avere ben poco a che fare con le argomentazioni dei romanzi moderni, ma sembrano piuttosto intessuti di fili culturali non troppo positivi, ovvero ipocrisia, retorica, demagogia. Di fatto, la rete, con le sue maglie, ha sconvolto i codici della privacy perché “libera” ed espone molti aspetti della vita privata all’”occhio del grande fratello” e questo ha comunque un’incidenza pubblica. Tutto ciò ha delle implicazioni politiche. Guardiamo alle polemiche sorte intorno a trasparenza e privacy a Santa Ninfa. Sull’albo pretorio chiuso per motivi di privacy. Perché? Quello che colpisce è che a puntare il dito sul problema della privacy in Internet siano i soggetti maggiormente interessati a diffondere “informazioni pubbliche vere ed interessanti per la vita politica di un Paese”. In questo nuovo tempo, in cui tutto scorre e la notizia di qualche minuto fa è già vecchia, nell’ambito pubblico si inserisce il comune mortale cittadino. Il cittadino che viva soltanto nella dimensione pubblica e non abbia una vita privata non appare umano, mentre colui che goda della propria vita privata senza renderla pienamente pubblica appare un fantasma sociale. In questo tempo in cui l’immagine è tutto, in cui il virtuale rende opaco il vivere quotidiano, ci si dimentica troppo facilmente che quando una persona si esprime su un social network, Facebook, Twitter o altrove condividendo un pensiero, un’espressione, una foto o un video, non è più nel campo della “sua vita privata e personale”; quando inizia ad avere oltre duecento, trecento, cinquecento o addirittura mille “amici” su Facebook (sapendo che non sono dei veri amici, perché ci sono colleghi, familiari, ex compagni di scuola, ma anche conoscenti e semplici curiosi), il “suo” profilo non è più un diario personale, ma rappresenta la “sua e quindi nostra” vita pubblica. Come dice il garante diventiamo tutti nudi davanti alla finestra. Una vera democrazia partecipativa implica che tutti i cittadini nutrano l’interesse ad andare su Internet e a condurvi una “vita pubblica” perché questo contribuisce alla costituzione di un’identità digitale e di un “soggetto sociale” che in qualche modo partecipa alla vita della polis. Se oggi considerassimo quello che succede su Internet come se fosse solo una questione di vita privata, la sola soluzione sarebbe quella di mettersi un burKa digitale e di nascondersi in un bunker asettico senza via d’uscita. In un tempo in cui digitalmente tutto è possibile, oscurare informazioni pubbliche ha un senso? Sarebbe una totale deviazione dall’interesse pubblico perché in una democrazia è inaccettabile che l’unico modo per proteggere le libertà dei cittadini sia nascondere integralmente le informazioni. Un tempo c’erano gli scrittori a salvarci. Oggi, siamo tutti seguaci di apprendisti guaritori. Così il tempo passa e tutto sfugge. Sul versante del privato, i cittadini vengono schiacciati dall’auto-confessione e dall’esibizionismo, e la politica che attrae è quella del pettegolezzo. Sul versante del pubblico, i cittadini si accontentano della retorica, della demagogia e godono dei populisti che affondano le lame della lingua nella pubblica piazza e la politica si trasforma in sterile oratoria senza proposta. La vita privata è politicizzata, mentre la vita pubblica si trasforma in gossip. Così, invece di avere vita pubblica e vita privata, non abbiamo nessuna delle due, ci accontentiamo di rimanere spettatori inermi, perché più facile e comodo, che tutto scorra, mentre il mondo gira sempre più velocemente. Ed il futuro dei nostri giovani? Chi ci ha educati ad educarli?

Batman


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