Poesia e dintorni – La Metrica – terza e ultima parte

Continuiamo a considerare il verso nei rapporti che esso contrae con gli altri versi del testo poetico. Il verso isolato può certamente offrire spunti e considerazioni di natura metrica (sillabe, accenti, pause e cesure, ecc..), di natura retorica (figure e tropi), ma non può da solo rappresentare quella complessa struttura semiotico-semantica che è il testo poetico. Dopo avere  considerato la sinafia, l’episinalefe, l’enjambement, artifici metrico-retorici che intervengono significativamente nel rapporto di versi contigui, passiamo ora a considerare la strofa, l’assonanza, la consonanza, la rima. La strofa può essere definita come un sistema metrico di più versi che si organizzano e si ripetono in strutture sia rigide che libere. Le strofe a struttura rigida fanno riferimento a forme chiuse proprie della tradizione letteraria che per la poesia italiana sono rappresentate dal distico, dalla terzina, dalla quartina, dalla sestina, dall’ottava, rispettivamente di due, tre, quattro, sei, otto versi, per lo più endecasillabi, variamente ma obbligatoriamente rimati. Nelle forme tradizionali della poesia italiana, raramente un testo poetico è costituito da una sola strofa, prevalentemente le strofe si ripetono in strutture più ampie che prendono il nome di metri.

Metri molto comuni nella tradizione poetica italiana sono: 1) Il sonetto – 2) La canzone  – 3) La ballata.

1) Il SONETTO: la cui invenzione viene attribuita al Notaio Iacopo da Lentini della Scuola Siciliana, è costituito da quattordici versi tutti endecasillabi distribuiti in due quartine e due terzine. Si tratta della forma metrica che ha avuto un’enorme fortuna nella nostra tradizione letteraria, impiegata da quasi tutti i più grandi poeti, anche non italiani, a partire dalla seconda metà del XIII secolo fino ai nostri giorni. Esistono diverse varianti del sonetto, in verità poco usate, la più nota delle quali è il sonetto caudato, impiegato maggiormente nella poesia comico-burlesca e caratterizzato dall’aggiunta di una coda, appunto, replicabile più volte, costituita da un settenario che rima con l’ultimo verso dell’ultima terzina del sonetto, più un distico di endecasillabi a rima baciata, tipo il seguente schema: ABBA, ABBA, CDC, DCD, dEE.

2) La CANZONE: componimento strofico di altissimo rango, è il più illustre e solenne metro della tradizione lirica italiana. Teorizzata da Dante nel De Vulgari Eloquentia come la più alta forma poetica  e dallo stesso messa in pratica più volte (Donne ch’avete intelletto d’amore; –  Donna pietosa e di novella etate; – Tre donne intorno al cor mi son venute; ecc..) è stata poi da Petrarca elevata ad altissimo modello poetico (canzone petrarchesca) e solennemente consegnata ai posteri (Chiare, fresche et dolci acque; –  Italia mia benché ’l parlar sia indarno; ecc..). E’ costituita da strofe o stanze di endecasillabi e settenari con rime che seppure diverse, si distribuiscono con lo stesso schema per tutto il componimento. Variamente modificata nei secoli successivi, verrà nell’Ottocento semplificata da Leopardi (Canzone libera o leopardiana), caratterizzata sempre da una successione di endecasillabi e settenari, ma senza uno schema rigido e precostituito (A Silvia; –  La quiete dopo la tempesta; –  Il passero solitario; ecc..).

3) La BALLATA: originariamente “canzone a ballo”in quanto accompagnata da musica e danzatori, è un componimento metrico molto antico che possiamo considerare di origine italiana. Nasce intorno alla metà del XIII secolo a Firenze e Bologna e viene nobilitata come alta forma artistica dagli Stilnovisti e da Petrarca. Dante scrive per Beatrice una ballata d’influsso cavalcantiano “Ballata i’voi che tu ritrovi Amore” ma nel “De vulgari eloquentia” la considera inferiore alla canzone, per il fatto che la ballata richiede la presenza di danzatori. Dalla canzone differisce per essere introdotta da un ritornello o ripresa con numero di versi variabile da uno a quattro, cui fanno seguito le stanze che si succedono intervallate da altrettanti ritornelli con struttura rimica rigida Oltre a Dante “Per una ghirlandetta” e a Petrarca, molti altri autori utilizzano la ballata; ricordiamo tra questi: Guido Cavalcanti che la lanciò a Firenze come novità “Era in penser d’amor quand’i’ trovai;  –  Perch’i’non spero di tornar giammai; – Fresca rosa novella; – ”; Guittone d’Arezzo; Jacopone da Todi come metro della lauda; Poliziano “I’ mi trovai fanciulla, un bel mattino”; Lorenzo il Magnifico “ Il trionfo di Bacco e Arianna”; Tommaseo (Libertà); Carducci (Ballata dolorosa); Pascoli (Patria);

Di tutt’altra natura è la ballata romantica o romanza, componimento narrativo-epico-fantastico di origine nordica e in auge nell’Ottocento in Germania con Goethe, Schiller e in Inghilterra con Scott, Coleridge.

ASSONANZA – CONSONANZA – RIMA

L’assonanza consiste nell’uguaglianza, a partire dalla vocale tonica, delle vocali finali di due o più parole in zona rimica: mal-àta/dist-ànza; fata/casa; dol-òre/par-òle; disc-èse/fal-ène; debol-èzza/compl-èssa.

La consonanza consiste invece nell’uguaglianza delle consonanti, sempre a partire dalla vocale tonica, tra due o più parole: amar-ànto/dol-ènte; cotta/ritto; disp-òsto/reg-ìsta.

La rima si ha quando l’uguaglianza, a partire dall’ultima tonica, riguarda sia le vocali che le consonanti, derivandone identità di suono tra due o più parole poste prevalentemente, ma non esclusivamente, a fine verso.

Nel raggruppamento strofico dei versi, la rima può essere <baciata> AA,BB, individuando il distico; <alternata> ABAB, individuando la quartina, come pure quella< incrociata> ABBA; <incatenata> ABA/BCB/CDC, come nelle terzine dantesche della Commedia. La classica zona rimica si trova alla fine del verso, ma esistono altre zone rimiche come in fine emistichio, cioè a livello della cesura, denominata <rimalmezzo> o in qualsiasi altra parte che non sia né fine verso né fine emistichio, denominata <rima interna>.

Tino Traina



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