Prove Invalsi: riflessioni e confronto

Ci si avvicina alle prove Invalsi di maggio e ritualmente si comincia a dibatterne. Constatando, con compiacimento, che c’è ancora qualcosa che fa discutere sulla scuola, desidero inserirmi nella discussione non volendo, a priori, schierarmi né da una parte né dall’altra, nel senso dei denigratori o sostenitori delle stesse. I timori e i pregiudizi attorno alle suddette prove, che inducono a scansarle e svalutarle sono parecchi e si basano, in gran parte, sulle seguenti motivazioni:
• Si tratta di test di matrice anglosassone, estranei alla cultura scolastica italiana;
• Le prove sono troppo lunghe, difficili; preparare la loro somministrazione e disporne la correzione sottraggono molto tempo alla didattica;
• Sono un modo per “controllare” la didattica degli insegnanti e per dividere le scuole in buone e cattive;
• Si fondano sulla pretesa di ridurre tutto a misurazioni;
• Intollerabile ingerenza nell’autonomia scola¬stica idonea a comprimere la libertà di insegnamento;
• Eccessivo carico di lavoro non retribuito, sia da parte degli uffici che da parte degli insegnanti. Le prove INVALSI, comunque, anche se accompagnate da resistenze e atteggiamenti di diffidenza, sono una realtà: le scuole ogni anno sottopongono gli alunni a prove nazionali, uguali per tutti, per rilevare gli apprendimenti di italiano e matematica.
Allora, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
— L’Invalsi (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e Formazione) ha, ai sensi della L.D. 53/03 e suc¬cessivo D.L.vo 286/04, il compito di effettuare, “verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti”, finalizzate al “progressivo miglioramento e armonizzazione della qualità del sistema d’istruzione”. Si tratta di operazioni valutative, presenti, da anni, in quasi tutti i Paesi dell’Unione europea e in quelli notevolmente sviluppati e sono chiaramente distinte dalle verifiche finalizzate alla “valutazione periodica e annuale degli apprendimenti e del comportamento degli studenti”, di competenza esclusiva dei docenti. Se alle istituzioni scolastiche è affidata la competenza di progettare e realizzare interventi di educazione, istruzione e formazione finalizzati a realizzare gli obiettivi nazionali del sistema di istruzione (DPR 275/99), è ovvio che ne debba conseguire il controllo da parte del Ministero, per verificare se tali obiettivi sono di anno in anno raggiunti e quali correttivi, eventualmente, sia necessario apportare. E’ un profondo e significativo cambiamento che se non si riesce ad avvertire risulterà anche difficile comprendere le ragioni dell’intervento dell’Invalsi.
— Il test è uno strumento di indagine oggettivo, quindi, rispetto ad altri strumenti di rilevazione degli apprendimenti, in effetti, è uno strumento “povero”. Chiedere la definizione di numero irrazionale (la risposta è solo una) o chiedere di riferire sul binomio “Etica e Politica”, con tutti gli argomenti che si possono sviluppare attorno ad esso, anche contraddittori, è sicuramente cosa diversa e non possono essere oggetto degli stessi strumenti di verifica. Se la valutazione esercitata da un insegnante consistesse solo nella somministrazione di test, nutrirei qualche perplessità sulla sua professionalità e sulla sua competenza valutativa. I test Invalsi hanno finalità limitate e precise: verificare se finalità, obiettivi, competenze, di cui alle Indicazioni nazionali e alla Linee guida del Miur, deputato dalla stessa Costituzione ad emanare le “norme generali sull’istruzione”, sono di volta in volta raggiunti o meno e in quale misura. Le scuole valutano gli apprendimenti, giorno dopo giorno, periodicamente, annualmente, l’Invalsi valuta la tenuta e l’andamento del sistema. Si tratta di ambiti di indagine diversi ma che si completano e si integrano.
— I test Invalsi credo siano adeguati, affidabili e attendibili, perché la corrispondenza dei test con gli insegnamenti effettuati nelle singole scuole e classi non va ricercata sui singoli contenuti, ma sulla corretta utilizzazione, da parte degli alunni, di “quei” contenuti appresi in classe, per risolvere i “quesiti” e i “casi” che le prove propongono. Non vedo nessuna sovrapposizio¬ne né alcuna prevaricazione da parte dell’Invalsi nei confronti delle singole scuole e dei singoli insegnanti.
— L’esito delle prove non ha nulla a che vedere con la valutazione degli insegnanti, che è altra cosa. Gli esiti delle prove saranno consegnati alle singole scuole e il Liceo “Adria-Ballatore” non saprà nulla di quanto è avvenuto all’IISS “Dante Alighieri” e viceversa.
— Le prove Invalsi sono obbligatorie per leg¬ge. Si vedano, oltre alle norme sopra citate, la direttiva triennale n. 74 del 15 settembre 2008 e la direttiva n. 67 del 30 luglio 2010. A tal proposito va menzionata la sentenza n.212 del 29/08/2012 del Tribunale di Trieste, che ha respinto la domanda del docente condannan¬dolo alla rifusione delle spese di lite in favore dell’amministrazione scolastica patrocinata dall’Avvocatura dello Stato. Secondo la sen¬tenza, “ ..Omissis.. alla luce del quadro norma¬tivo sopra richiamato si può dunque ritenere che l’effettuazione di rilevazioni periodiche funzionali al monitoraggio dello standard qualitativo e del miglioramento del sistema scolastico è previsto dall’ordinamento in capo al MIUR che ne dispone e cura lo svolgimen¬to anche avvalendosi di un ente strumentale, l’INVALSI …Omissis…” , “…Omissis… non ri¬sulta alcuna competenza decisionale in capo al singolo istituto scolastico e in particolare al Collegio Docenti in ordine alla scelta di ef¬fettuare o di non effettuare le prove di cui si discorre Omissis”. Quanto alla posizione del personale docente, secondo il Tribunale “ l’at¬tività di somministrazione e corresponsione delle prove Invalsi ben può farsi rientrare tra le attività previste dall’art. 29 del CCNL vigen¬te Omissis essendo l’attività relativa alla loro correzione inquadrabile come attività funzionale all’insegnamento (nella prospettiva del miglioramento degli standards del sistema scolastico….”
A quanto sopra detto, intendo aggiungere e sottolineare, con forza, il fatto che il Miur avrebbe dovuto adoperarsi in modo più mirato per preparare scuole ed insegnanti alle pro¬ve Invalsi. Se sui test e sulla loro funzione non c’è piena conoscenza e consapevolezza, esiste una responsabilità dell’amministrazione che sulla valutazione da oltre dieci anni a questa parte non ha attivato nulla. Anzi, il ritorno ai voti e l’enfasi sul cinque in comportamento non ha fatto altro che sferrare un duro colpo a quella “cultura della valutazione” che negli anni Ottanta si era avviata con tanta fatica.
E poi ancora: è innegabile il carico di lavoro per le segreterie e i docenti per la sommini¬strazione e la correzione delle prove. Ci si chiede: se della valutazione degli apprendimenti sono responsabili gli insegnanti nelle loro classi, perché della valutazione di sistema non si fa carico, totalmente e direttamente l’Invalsi, con la sua organizzazione e con il suo budget? E’ solo un discorso al vento. Siamo alle solite: l’amministrazione assegna compiti, anche impegnativi, ma non assegna risorse. E si innescano così il malcontento e l’inquietudine che sfociano talvolta nella demotivazione e a pagare, alla fine, sono sempre i nostri ragazzi.
Ma…… le prove Invalsi possono essere tutto quello che viene detto su di esse, sono, però, un validissimo aiuto a fare una “istantanea” alla classe, utile ad avviare un’ulteriore rifles¬sione su eventuali lacune o salti.
Come può essere che, ad un insegnante, non interessi vedere come si pongono i suoi ra¬gazzi, di fronte ad una domanda insolita, ad uno stile e modo diverso di essere interpellati; non interessa prendere atto che possiedono o non possiedono schemi validi di mobilita¬zione delle conoscenze, che pur hanno, per affrontare problemi nuovi; non interessa sa¬pere se si è riusciti con le strategie didattiche messe in atto ad attivare quegli schemi utili a trasformare le conoscenze in competenze?
In altri termini, come si fa a non capire che la professione dell’insegnante, in quanto formatore, è una professione che non può smettere mai di mettersi in discussione e di adottare per questo una raffinata continua riflessività?
Che senso ha oggi rifiutarsi di fronte ad un adempimento il cui fine è solo quello di verificare insieme che cosa stiamo facendo nelle aule, dov’è che facciamo bene, dov’è che sba¬gliamo? Un intervento Invalsi, con tutta la sua limitatezza ci sollecita a riflettere, a confron¬tarci, al limite anche a dire che tutti gli item sono sbagliati…
Non è una occasione per discutere, per con¬frontarci, per crescere? Autonomia è sinonimo di autoreferenzialità e del “ Fai da te ” ? E’ forse meglio che ciascuno permanga nel chiuso della propria aula, mentre i ragazzi cre¬dono sempre meno ad una scuola che sappia aprirsi e confrontarsi con il mondo? Siamo a febbraio e abbiamo il tempo per riflettere e per decidere al meglio!
Mi auguro che possa prevalere oggi lo sforzo di cogliere gli aspetti positivi e i possibili “vantaggi” delle prove INVALSI. Primo fra tutti, l’opportunità di confrontare i risultati con quelli nazionali, con un feedback all’interno della propria scuola, utile a valutarne e a migliorarne l’azione.
Vita Biundo
Dirigente Scolastico Istituto Superiore
”F. Ballatore” Mazara del Vallo


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