SIMIT sulle conseguenze della pandemia sull’HIV: meno esami, test, visite e screening per i pazienti HIV positivi

ROMA – Uno degli effetti più significativi della pandemia di Covid-19 è stato il sovraffollamento degli ospedali che, insieme ai rischi di contrarre l’infezione, ha interrotto trattamenti, rallentato operazioni di screening e scoraggiato visite ed esami specialistici. Un chiaro esempio di come questi meccanismi siano stati inficiati dalla pandemia è costituito dall’HIV, di cui sono usciti i dati recenti proprio in occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS lo scorso 1 dicembre. L’HIV infatti oggi si può controllare, garantendo al paziente una qualità di vita molto simile al resto della popolazione, e si può ridurre la viremia fino ad azzerarne il rischio contagio. Restano però aperte numerose questioni su cui bisogna ancora lavorare. Uno dei problemi costanti è dato dal ritardo della diagnosi, che spesso arriva dopo alcuni anni, talvolta quando il virus è già diventato AIDS. Il rallentamento di test e screening nel 2020 rischia di acuire ulteriormente questo fenomeno. Prendendo come esempio proprio l’HIV, si è tenuto il Progetto Istituzionale “L’impatto della pandemia da Covid-19 sulla salute dei pazienti: l’esempio dell’HIV”, promosso da SIMITSocietà Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, organizzato da Aristea International con il contributo non condizionante di Gilead Sciences. In apertura, l’intervento del prof. Giovanni Rezza – Direttore Generale della Prevenzione Sanitaria, Ministero della Salute e della prof.ssa Filomena Maggino – Presidente Cabina Regia Benessere Italia – Presidenza del Consiglio. “Il 27 dicembre inizierà la campagna di vaccinazione per il Covid-19 a partire dai soggetti più fragili e dal personale sanitario, ma non si otterrà l’immunità di gregge fino a che non si vaccinerà almeno il 60-70% della popolazione; per questo passeranno dei mesi per vedere degli effetti a livello di popolazione, quindi bisognerà tenere comportamenti prudenti per evitare il susseguirsi di molteplici ondate” ha spiegato il prof. Giovanni Rezza.

“L’impatto più significativo della pandemia è destinato a riversarsi su tutti gli altri malati che in questi mesi non sono riusciti a fare le cure e gli esami necessari – ha sottolineato la prof.ssa Filomena Maggino – Servono decisioni che mettano al centro il benessere del cittadino, con servizi territoriali rivolti alla persona, una campagna di informazione che aumenti la consapevolezza e fornisca le indicazioni per riappropriarsi di un sano stile di vita e una corretta alimentazione”.

“Pur salutando con entusiasmo l’arrivo del vaccino contro il Covid-19, serviranno tempi lunghi per superare definitivamente la pandemia – ha evidenziato la prof.ssa Antonella D’arminio Monforte – Anzitutto, esiste un problema di adesione, visto lo scetticismo di fondo non riguarda solo la popolazione generale, ma anche parte del personale sanitario. Bisogna poi affrontare il problema della catena del freddo, visto che il vaccino deve essere conservato a -80°C. Inoltre, vi sono complessi aspetti da definire nella fase organizzativa per un intervento incisivo sul territorio, visto che il personale sanitario è scarso e la quantità di soggetti da vaccinare ammonta all’intera popolazione nazionale. Un altro elemento da tenere in considerazione è che il piano vaccinale prevede di vaccinare prima chi rischia di contrarre una forma più grave della malattia, quindi anziani e soggetti fragili, che cosi non si ammalano gravemente, ma nella maggior parte dei casi non sono queste le persone che trasmettono più frequentemente il virus. La popolazione giovanile e in età media sarà quella a essere vaccinata per ultima: per questo la campagna andrà avanti fino al 2021. Infine, bisogna vedere quale sarà la durata degli anticorpi”.

“La vaccinazione contro il Covid-19 è l’unica strategia che potrà permettere di contrastare la pandemia in atto – ha commentato il prof. Antonio Cascio – I benefici saranno presto visibili nella popolazione generale e soprattutto per tutti coloro che per qualsiasi motivo devono ricorrere alle strutture ospedaliere in quanto affetti da patologie croniche sia infettive come l’HIV che non infettive. Ci si augura che presto, grazie alla vaccinazione, la maggior dei reparti possano riprendere le loro attività abituali e gli ambulatori funzionare a pieno regime”.


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