SIMSPe: “Vaccinazione COVID in carcere prioritaria per personale e per detenuti con fragilità sanitarie”

ROMA – La SIMSPeSocietà Italiana di Medicina e Sanità nei Penitenziari individua anche una parte della popolazione carceraria come prioritaria nella somministrazione delle vaccinazioni per il Covid-19. In particolare, viene ritenuto opportuno eseguirla il prima possibile a tutti gli operatori che entrano per lavoro all’interno delle mura in quanto, essendo oramai il virus diffuso ovunque ed anche nelle famiglie, sono loro i più probabili portatori dell’infezione all’interno dell’ambiente penitenziario. Parallelamente, tra le oltre 50mila persone giornalmente detenute in Italia, nella maggior parte giovani che non corrono alcun rischio di evoluzione maligna dell’infezione qualora la dovessero contrarre, ci sono anche molti di età più avanzata e con diverse patologie che li rendono più “fragili” rispetto al resto della popolazione detenuta. Queste persone risultano maggiormente “a rischio”, in caso d’infezione, di sviluppare le patologie più gravi causate dal virus e, conseguentemente, potranno avere la necessità di ricovero ospedaliero.

Durante il Lockdown il virus nei fatti è entrato negli istituti penitenziari con assoluta marginalità, dimostrando che le misure di cintura allora adottate attorno alle persone detenute hanno funzionato, anche perché erano forzosamente efficienti anche su quanti accedevano al carcere per motivi di lavoro.

“Oggi la situazione è assolutamente differente – sottolinea il prof. Sergio Babudieri, Direttore Scientifico SIMSPe – Il virus circola con grande velocità anche all’interno delle famiglie e nessuno può ritenersi escluso dal potenziale contagio. Abbiamo riscontrato all’interno detenuti positivi al Coronavirus, con prevalenze maggiori nelle regioni in cui maggiore è stata la presenza della diffusione virale; da ciò anche casi di detenuti sintomatici ed ospedalizzati e, purtroppo, anche di alcuni decessi”.

I servizi sanitari delle aziende sanitarie territoriali hanno intercettato i positivi fra i nuovi giunti in ambiente detentivo, che sono stati immediatamente isolati secondo protocolli ed ammessi in comunità solo una volta che si fosse definitivamente negativizzato il tampone. Tuttavia, resta il problema di chi in carcere si trova già.

“I detenuti sono una coorte di popolazione confinata con limitate possibilità di interscambio con l’esterno – evidenzia il Presidente SIMSPe Luciano Lucanìa – Da questa considerazione appare prioritaria la vaccinazione del personale – inteso nella globalità ed indipendentemente dall’amministrazione di provenienza – che accede all’interno degli istituti di pena ed ha contatti diretti con i reclusi. Per questi, credo che vi sia una via razionale di proposizione della vaccinazione, cioè quella legata ai fattori clinici. Nell’insieme dei detenuti vi è una percentuale non indifferente di persone in età avanzata e pluripatologie. Questi, accuratamente identificati in ciascuna sede detentiva, dovrebbero essere sottoposti a vaccino, soprattutto se, sotto il profilo giuridico, sono detenuti in espiazione di pena detentiva ed indipendentemente dalla durata della pena residua”.

Il tema è molto dibattuto. Uno studio della rivista pubblicato su The Lancet il 12 dicembre ha criticato molti governi (UE e Usa compresi) che tendono a escludere chi vive in prigione dalle priorità del piano vaccini: le carceri sono focolai naturali di contagio, vista anche l’elevata età media di molti detenuti, le numerose patologie croniche diffuse, l’ambiente spesso sovraffollato. Anche dal mondo politico è in atto un’azione volta a porre al centro la situazione delle carceri. A fine dicembre, in corrispondenza dell’inizio della campagna vaccinale, la senatrice a vita Liliana Segre, la presidente del gruppo Misto del Senato Loredana De Petris e il senatore delle Autonomie Gianni Marilotti hanno promosso un’interrogazione parlamentare urgente al presidente del Consiglio e al ministro della Giustizia chiedendo che oltre al personale di polizia penitenziaria anche i detenuti siano vaccinati. Il 12 gennaio si è aggiunta una mozione al Senato con oltre 20 firmatari per promuovere una richiesta analoga.


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