Vito Piazza: I siciliani non sono tutti mafiosi

L’hanno preso. Dopo trent’anni. E subito i media e giornalisti d’accatto si sono buttati non contro di lui, ma contro i suoi concittadini, i campobellesi e i castelvetranesi e forse anche noi partannesi. Più colpevoli del pluriomicida Matteo, la primula rossa, il nuovo padrino, il nuovo Giuliano. Un mito creato per far luce a un pupu sanguinario che tale si è dimostrato col suo bel ritratto di Marlon Brando che fa il padrino. Eppure già nel film di Francesco Rosi sul bandito famoso (più che famoso, famigerato) c’era chi – tra i suoi concittadini sottoposti tutti a continue angherie e insulti al limite della legalità – interrogato con modi brutali ebbe a dire: “Ma per quanto tempo ancora dobbiamo pagare la disgrazia di essere nati a Montelepre?”. E’ come dire che se hai un vicino di casa che spaccia droga, tu non puoi essere che drogato o spacciatore e se qualche tuo conoscente usa violenze, tu non puoi esserne estraneo. Sei complice. Questa premessa appare necessaria per una questione di logica, semplicemente logica: non vuole certo essere una difesa d’Ufficio per i siciliani tutti che fin dai tempi di Verre e più recentemente dal Regno piemontese sono stati sfruttati, spremuti, costretti da una leva obbligatoria per guerre che interessavano solo il Nord. Diceva Pavese che le uniche guerre sentite col cuore sono solo le guerre civili: che me ne fotte di ammazzare un austriaco che abita a migliaia di chilometri dalla mia terra? Molto meglio ammazzare uno che conosco e che mi opprime. Eppure non so quante migliaia di siciliani sono morti sul Carso, sull’Isonzo per prendere con la forza Trento e Trieste i cui esuli (si fa per dire) entrarono in Italia prendendoci i posti di lavoro con leggi speciali. E se qualcuno dei soldati siculi consapevole dell’inutilità di rischiare la propria vita per la roba altrui, voleva tirarsi indietro, pronto era il tenente di turno a sparargli alle spalle. Torna in mente la risposta di Sciascia alla domanda. “Ma oggi si può essere siciliani?” che riporto: “Sì. Ma con difficoltà”. Anche i più fortunati di noi sanno che i siciliani crescono a pane (quando c’era) e difficoltà: la malasanità, la malaria, la fame, l’emigrazione, la malascuola, il tempo corto spacciato per tempo pieno, e malessere psicologico malgrado i centri senza fantasia contrari (benessere) che proliferano non controllati. Siamo colpevoli tutti e reagiamo non rispettando le file o il codice stradale. Siamo i controllati (dai politici, dagli amministratori, da chi ci manipola psicologicamente, da chi ci induce a comprare questo piuttosto che quello) non i controllori, MA NEPPURE I CONNIVENTI. Né con Giuliano né con Matteo Messina Denaro, famigerato non famoso. E se i giornalisti (si fa per dire) ci danno addosso, sappiano che vivere in Sicilia non è da tutti. Guttuso diceva che in Sicilia puoi trovare tutto tranne che la verità. E’ vero. Ma di chi è la colpa? Non della gente che lavora e non conta niente e subisce pur vogliosa di imbracciare la lupara, non dei pochi intellettuali che ce la mettono tutta perché si attui una educazione antimafia, non di Giovanna Ragolia che ha perso il marito incolpevole (a proposito: avete visto Giovanna intervistata dalla TV. Un raro esempio non solo di dolore compunto e discreto, ma anche di saggezza e grazia, niente urla del tipo “hannu ammazzatu a cumpari turiddu”, ma composta soddisfazione per la giustizia.). Eppure si ha l’impressione che i giornalisti cercassero in ogni intervistato il mostro, il connivente, il vigliacco, l’omertoso. E’ chiaro che scelgono chi intervistare, tagliando le interviste di persone che sanno parlare senza usare il verbo all’infinito e sanno di che si tratta. Che ne sanno di Messina Denaro i molti cittadini alle prese con la precarietà del lavoro, con l’incompetenza e la disonestà dei politici, con amministratori cha pensano solo a gonfiare il proprio Ego grande come una casa? Che ne sanno di chi ha distrutto la vanedda cacata e tutta Partanna? Che ne sanno i giovani che non hanno ancora trent’anni e sono senza lavoro? Chi oggi ha almeno trent’anni è colpevole. Appena nato invece di dire “mamma”, avrebbe dovuto dire: io so dov’è Matteo. Sembra la favola del lupo e dell’agnello: se non sei connivente tu, sicuramente lo è stato tuo padre. Ma a Lor Signori dei media conviene dare luce a chi è in ombra o ha scelto di esserlo per mille motivi e che ha semplicemente PAURA. Non solo di Matteo. Ma dei giornalisti che invece di cercare di capire, giudicano. Condannano. Giustiziano. Lor Signori, spesso, troppo spesso servi del potere e incapaci di vivere la Sicilia.

Vito Piazza


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