La comunicazione ai tempi dello spread

“Poiché le crisi di cui ci occupiamo oggi avvengono in effetti – e questa è la novità – in una società essa stessa in crisi. Detto altrimenti, cosa succede quando la crisi non è più l’eccezione alla regola, ma è essa stessa la regola nella nostra società?”

M. Benasayang, G. Schimt, “ L’epoca delle passioni tristi “, Universale Economica Feltrinelli.

La crisi economica che dilania da qualche anno il mondo globalizzato acuisce la compressione sul presente, caratteristica della modernità, anzi della post – modernità. L’epoca dello spread, però, è segnata da un appiattimento sull’immediatezza che non ha più niente a che vedere con quello tipico della società degli anni ‘80/ ’90, dove il presente era sì la sola dimensione temporale accessibile ma, almeno, era un presente da “godere” . La crisi attuale, infatti, è caratterizzata da una contrazione temporale che ci priva del futuro costringendoci ad un presente in cui, però, non c’è più nulla di cui godere. Ormai impegniamo il presente nel correre verso un futuro che non riusciamo nemmeno ad ipotizzare. L’evento critico che interessa attualmente l’intera società occidentale ha una diversa qualità e consistenza rispetto alla “normale“ crisi. Oggi, infatti, non stiamo assistendo agli effetti di una carenza inerente uno specifico settore (lavoro, soldi, sociale, ecc. ) bensì ci si sta confrontando con le conseguenze, psicologiche e comportamentali, della contrazione di un particolare “bene“ immateriale: il tempo. Tempo “presente“ e tempo “futuro“. Si tratta, di fatto, di un paradosso: l’assenza di risorse (soldi, lavoro, opportunità di una migliore qualità di vita, valori, ecc.) ci impedisce di progettare, dunque di immaginare un futuro. Non necessariamente un futuro “migliore“ ma solo e semplicemente “futuro“. Questo è il drammatico paradosso che ognuno di noi, chi più chi meno consapevolmente, vive attualmente. L’appiattimento sul presente, generato attualmente dalla crisi, è una condizione mentale che nasce dal percepirsi privi di risorse. E’ questa la condizione mentale, in nulla patologica, con cui, oggi, deve fare i conti chiunque operi con il suo ruolo specifico nel campo della Formazione ed in quello della Relazione di aiuto. Il segnale di natura emotiva di tale condizione è un complesso di pensieri ed emozioni negativi che si può riassumere attraverso il termine “sfiducia“ ed anche “scetticismo“. Non è tanto una questione di non credere nel valore di ciò che si sta facendo o che si dovrebbe fare (nel lavoro, negli affetti, nelle amicizie, ecc.) ma di non ritenere utile impegnare più energie di quelle necessarie a produrre effetti oltre quelli realizzabili nell’immediato. Non si tratta nemmeno, per esempio, del classico “non vale la pena studiare“ o “a che serve darsi da fare più di tanto…“.  Ci riferiamo, infatti, ad una forma di sfiducia/scetticismo alquanto originale. Anche perché la condizione di cui stiamo trattando appartiene tanto al motivatore / formatore / consulente / docente che a colui o coloro che sono da motivare. Restando ancorati a quest’ultima tematica, la domanda che emerge è se la Comunicazione  possa restare indifferente agli eventi socioeconomici che stanno, in qualche modo e misura, destabilizzando la nostra società. Da cui discende l’interrogativo conclusivo e cioè cosa significa comunicare efficacemente, nel privato così come nelle professioni o nel sociale, in tempo di crisi. Pertanto una comunicazione efficace e motivante è tale nel momento che sostiene l’individuo nel liberarsi dagli e degli schemi emotivi-cognitivi standardizzati e favorisce, perciò, l’autentico desiderare. Ma Attraverso quali canali comunichiamo? La comunicazione comprende il linguaggio, ma non si riduce ad esso. Bisogna tener presente che il canale verbale (il linguaggio, le parole, il contenuto) rappresenta solo il 7% della comunicazione. Il 38% della comunicazione passa attraverso il canale paraverbale: tono della voce, timbro, ritmo, inflessione, volume, pause, velocità. Se vogliamo farci capire, è importante alternare il tono della voce in base a ciò che stiamo esprimendo, utilizzare metafore, esempi. Le persone recepiscono più da un’esperienza raccontata brevemente con enfasi e piena di sensazioni, che da una relazione di ore esposta con tono lineare. Infine ben il 55% della comunicazione passa attraverso il canale non verbale, chiamato anche linguaggio del corpo: comprende i movimenti del corpo, del volto, degli occhi, l’atteggiamento, la prossemica, l’aspetto, la postura. I gesti che effettuiamo comunicando possono rappresentare: accompagnamento alla parola, per enfatizzare, sottolineare; possono essere simbolici, regolatori, per manifestare attenzione o distacco; emotivi. Una comunicazione efficace è una comunicazione nella quale tutti e tre i livelli sono coinvolti e sono coerenti tra loro. Per comunicare a 360° dobbiamo toccare tutti i sensi, attraverso tutti e tre i canali d’accesso: auditivo, cinestesico, visivo. Comunichiamo efficacemente quando siamo in grado di realizzare gli obiettivi della comunicazione o se vi ci avviciniamo in misura significativa. La comunicazione efficace e motivante, nell’epoca dello spread, implica perciò (anzi coincide con esso) favorire il desiderare, il progettare, l’aprirsi  verso l’altro e verso sé stessi. A questo punto è chiaro che una comunicazione efficace debba favorire il desiderio e l’emergere di una visione, di un progetto, per sé e per gli altri. Dove per desiderio si intende l’orientarsi autenticamente verso ciò di cui si ha effettivamente bisogno, al di fuori da ogni etichettamento o condizionamento esterno, il seguirlo permette di realizzare il proprio Sé, senza correre il rischio dell’omologazione che invece costituisce il pericolo di quest’epoca.  di Marilena Pipitone


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