La gestualità e il modo di parlare e operare dei Siciliani

Vito-Marino-1-150x150Ogni popolo ha delle caratteristiche che lo rendono diverso dagli altri. Una di tali caratteristiche è la gestualità.
La gestualità era sorta in un lontano passato anche per la necessità di comunicare con i numerosi popoli del Mediterraneo, diversi per lingua e civiltà, con i quali allacciava rapporti commerciali, ma anche per farsi capire dai numerosi conquistatori che, nel corso dei secoli hanno occupato la Sicilia.
Inoltre, a causa dell’analfabetismo e dei pochi vocaboli a sua disposizione, per farsi capire più facilmente si aiutava molto con i gesti delle mani, con la mimica del viso e, principalmente, con gli occhi. Questi occhi vivi, intelligenti e scrutatori hanno impressionato E. De Amicis che, nel suo libro “Ricordi di un viaggio in Sicilia”, così cita testualmente: -“…così profondi, così acutamente scrutativi, così pieni di sentimento e di pensiero…”.
Noi non ci accorgiamo di questa nostra complessità, se ne accorge chi viene da fuori: Vuiller Gastone, pittore e scrittore francese nel suo libro “La Sicilia” 1897, così scrive: “…finanche i fanciulli si esercitano fin da piccini in questo singolare linguaggio. Si pretende che questa abitudine di comunicare per mezzo di gesti cominciasse a Siracusa ai tempi del tiranno Dionigi.” Il Pitré, che si era fatto amico del Vuiller, parlando della mimica dei siciliani così scrive: – “… non pochi viaggiatori si sono meravigliati. Dalla più lieve impercettibile vibrazione dei muscoli della faccia, a tutto un movimento del capo e delle mani, questo muto linguaggio esprime sentimenti, affetti, volontà, che sfuggono ai forestieri. Coi gesti si afferma, si nega, si comanda e si ubbidisce, si dispone e si esegue, si prega e si concede, si chiama e si risponde, si loda e si biasima, si carezza e si disprezza fino a comporre interi discorsi”-.
Il Siciliano era un “omu di panza” perché, per una serie di circostanze storiche e ambientali doveva e sapeva trattenere per sé i segreti. L’omertà era quasi innata; non perché prediligeva un delinquente assassino, ma per paura di ritorsioni, per il quieto vivere, per amore della sua famiglia e, principalmente, per non avere rapporti con la giustizia e gli “sbirri”, per i quali aveva paura e disgusto.
I discorsi dei siciliani erano fatti in rigoroso dialetto del posto e con poche parole; si usavano moltissimo i proverbi, le metafore, “lu pizzicuneddu” (il diminutivo e il vezzeggiativo), e le frasi idiomatiche. Molto espressiva, ad esempio, era la frase: “Si iuncìa la testa cu li peri” (si univa la testa con i piedi – si piegava in due) per dire che soffriva di un forte dolore allo stomaco.
“Ci voli assai pi sapiri picca” (ci vuole molto per sapere poco); in questo solo proverbio c’è racchiusa tutta la saggezza di un popolo.
Così in ogni discorso od occasione egli citava un proverbio, che calzava sempre a pennello. Spesso nei suoi discorsi, per affermare o negare, si limitava solamente a dire “ora si” oppure “ora no” o, addirittura, abbassava solamente la testa o l’alzava dicendo “nzu”.
Nella nostra società quando una persona prende delle iniziative, anche di un certo valore, diventa oggetto di critica gratuita da parte di tutti; una critica distruttiva, mai costruttiva. Seduti comodamente al bar oppure al circolo ricreativo, fra un caffè ed una partita a carte, si aggiusta l’Italia: “Si fussi sinnacu… Si fussi prisirenti di lu cuvernu …”
Durante la civiltà contadina e fino agli anni ’50 il tempo entro cui scorreva l’esistenza della gente, sembrava fermo. Nel fare la spesa il bottegaio, che spesse volte era donna, chiacchierava con gli acquirenti: parlava del tempo, della raccolta delle olive, della vendemmia, s’informava dei fatti di famiglia; si trattava, pertanto, di un ricco patrimonio di calore umano oggi scomparso.
Nel modo di parlare e nel comportamento del siciliano c’era tutto un modo d’essere, derivato dalla stratificazione delle varie culture, acquisite dai vari popoli conquistatori, che si sono succedute e sovrapposte nel corso dei secoli, fuse integralmente e armoniosamente amalgamate.
Vito Marino


Pubblicato

in

da

Tag: