Un acquedotto lungo … 50 anni a Partanna dal 1903 al 1953

di Nino Passalacqua

Premessa

Fin dagli ultimi decenni dell’Ottocento gli amministratori comunali di Partanna si pongono il problema di un “acquedotto”. Ma la sua soluzione resta per decenni un pio desiderio.  Di contro alle numerose e copiose sorgenti esistenti lungo le pendici orientali e meridionali del territorio sta inesorabile l’handicap dell’altitudine dell’abitato. Il senso di impotenza di fronte a quella che veniva considerata un’impresa faraonica viene superato all’inizio del nuovo secolo grazie alle notizie diffuse da un ingegnere elettrotecnico facente parte della squadra di tecnici presente in quegli anni in Partanna per la progettazione della ferrovia. Stando alle dichiarazioni del professionista “per provvedere il Comune di acqua potabile e per la trasformazione dell’illuminazione a petrolio in illuminazione a luce elettrica” sarebbe bastata una spesa di £ 8.000 annue. Tanto basta per spingere un consigliere comunale, il notaio Caronna, a proporre, in sede di discussione del Bilancio di previsione per l’anno 1903, uno stanziamento di £ 800 “per progetti di acqua potabile ed illuminazione elettrica”. A seguito di tale stanziamento, la Giunta Patera Emanuele affida l’incarico della “compilazione di progetti particolareggiati” all’ing. Francesco Savagnone Leone col compenso delle sole spese vive fissato in £ 465 e con la promessa di affidargli “la direzione dei lavori o la rappresentanza del Comune nel caso fosse concesso l’esercizio ad una società assuntrice”.

 

Il Progetto Savagnone

Nel 1904 i progetti di massima redatti dall’ing. Savagnone sono pronti. Quello relativo all’acquedotto prevede il convogliamento delle acque del bacino del Canalotto, nonché il loro sollevamento ad una quota di metri 450 s.l.m. L’acqua garantita a cittadino risulterebbe di circa 50 litri al giorno.  L’elevazione è prevista mediante un impianto elettrico di forza motrice. E qui interviene il secondo progetto, quello relativo alla produzione dell’energia elettrica. Essa verrebbe sviluppata mediante l’eduzione delle acque del fiume Belice e garantirebbe, oltre alla forza motrice per l’elevazione dell’acqua potabile, anche l’energia elettrica per la pubblica illuminazione. La produzione dovrebbe risultare addirittura esuberante, tanto da poter dare energia elettrica non solo per il consumo della popolazione di Partanna, ma anche per quello di altri comuni viciniori. La spesa prevista per la realizzazione delle due opere si aggira intorno alle 400.000 lire, da coprire con un mutuo. L’utile che deriverebbe dalla vendita dell’acqua e dell’energia elettrica sarebbe così rilevante da coprire interamente le spese per l’esercizio annuale.

 

Il progetto Romano

Prima ancora, però, che l’iter burocratico relativo ai due progetti Savagnone possa essere portato a termine, si verifica un ribaltamento politico sul piano amministrativo. La nuova Giunta, diretta dal dr. Calogero Battaglia, eletta nel 1907, ritenendo troppo oneroso ed impegnativo il programma Savagnone decide di accantonarne i progetti e di indirizzare gli sforzi soltanto in direzione dell’elevazione dell’acqua del Canalotto. A tal fine viene affidata all’ing. Romano la redazione di un nuovo progetto che comprenda, oltre all’impianto di elevazione dell’acqua e al relativo serbatoio, anche la rete di distribuzione interna. In tal modo la spesa prevista si riduce sensibilmente, attestandosi intorno alle 80.000 lire, ma si registra una riduzione nella quantità d’acqua garantita, nonché un maggior costo d’esercizio, in quanto per l’elevazione dell’acqua, in mancanza di energia elettrica si è costretti a ricorrere al sistema meccanico.

 

Il progetto Bianco

Ancora una volta, però, l’alternanza nella conduzione politica della cosa pubblica provoca un rinvio alla realizzazione dell’acquedotto. La nuova Giunta, eletta nel 1910 e guidata dall’avv. Pietro Molinari, infatti, accantona il progetto Romano, ritenuto inadeguato a dare “sufficiente approvvigionamento” e “poco rassicurante, essendo fondato sul sistema ad elevazione meccanica”, e si affida alle competenze dell’ing. Stefano Bianco, partannese, profondo conoscitore “delle copiosissime sorgenti sgorganti presso Palazzo Adriano”. Il programma della Giunta Molinari risulta alquanto complesso. Si tratta di costituire, infatti, un Consorzio di Comuni e di realizzare una condotta di circa 60 chilometri. Vengono presi, pertanto, contatti con i Comuni limitrofi. Si dimostrano interessati quelli di Campobello, Castelvetrano, Gibellina, Montevago, Salaparuta e Santa Ninfa, cui si vorrebbero aggiungere anche quelli di Marsala e Salemi.  Dopo parecchie riunioni in Prefettura, in data 7/8/1911 i vari Consigli Comunali votano la loro adesione e appena nove mesi dopo, il 17/5/1912, viene presentato e discusso il progetto Bianco. I dati tecnici parlano di una spesa complessiva di £ 4.800.000 per una quantità d’acqua di litri 150 al giorno per abitante (includendo Marsala e Salemi addirittura £ 8.800.000).  Riducendo il quantitativo d’acqua a 70/80 litri, la spesa scende a £ 4.000.000, dovendosi derivare l’acqua da un’unica sorgente, quella di S. Cristoforo, capace di dare litri 61 nel periodo di massima magra, bastevole in ogni caso a soddisfare le esigenze dei sette Comuni belicini. Il tracciato della conduttura ha un percorso di 55/60 Km tra la sorgente e il serbatoio di distribuzione e prevede l’aggiramento di parecchie montagne, il superamento del fiume Belice sul ponte omonimo, per evitare la costruzione di gallerie, di tunnel o di viadotti, ed il convogliamento delle acque ad un’altitudine superiore a quella di molti comuni, in c.da Pizzo Cazzola.  E si devono superare anche piccole diatribe interne al Consorzio. E così, per esempio, il Comune di Gibellina chiede che si sposti più a nord il percorso per porre il serbatoio centrale in prossimità del suo abitato, senza tener conto, però, che la conduttura si allungherebbe di 8 Km e dovrebbe attraversare i fiumi Belice, Senusi e Verdure dove non esistono ponti. Secondo il progetto originario, comunque, la spesa per il nostro Comune ammonta a £ 743.000, cui si devono aggiungere £ 80.000 per la condotta interna e £ 7.430 annue per la manutenzione. Per far fronte a tali spese il Comune può ricorrere ad un mutuo rimborsabile in 50 anni da contrarre con la Cassa DD.PP.. Si avrebbe dunque un onere per il Comune di £ 24.000 per i primi 50 anni e di sole £ 7.430 dopo i 50 anni. La vendita dell’acqua ai cittadini dovrebbe affrancare il Comune dalle spese di manutenzione.

 

Il progetto FF.SS.

Anche questo progetto, però, viene accantonato. Ma non già per far ripiombare le popolazioni nello sconforto, bensì per offrire maggiori garanzie di realizzabilità dell’opera. Nel dicembre di quello stesso anno, infatti, una circolare del Ministero dell’Interno informa le Amministrazioni civiche belicine dell’intenzione delle FF.SS. di approntare un acquedotto, con derivazione dalle sorgenti di Fontana Grande, presso Palazzo Adriano, a servizio della linea ferroviaria Castelvetrano-S.Carlo, definito promiscuo in quanto aperto al concorso dei Comuni che intendono usufruire del suo servizio. La proposta viene subito accolta dagli amministratori del Comune di Partanna. E così, in data 14/12/1913, tra l’Amministrazione delle FF.SS. ed il Comune di Partanna viene stipulata una convenzione con cui le FF.SS. si impegnano a fornire al Comune di Partanna la quantità di acqua di mc 710 (l. 50 per abitante) e il Comune di Partanna si obbliga a corrispondere la somma di £ 726.000 derivante da un mutuo da contrarre con la Cassa DD.PP. Dalla suddetta convenzione si evince che il serbatoio ripartitore sorgerà nella zona più alta della c.da Montagna e che il serbatoio comunale, da realizzare insieme alla condotta cittadina a spese del Comune, sorgerà a m 450.

 

Il progetto FF.SS. bis

Ancora una volta, però, le attese dei partannesi vengono deluse. La Grande Guerra e i conseguenti risvolti economici inflattivi fanno slittare la realizzazione dell’opera. Il tema “acquedotto” torna all’ordine del giorno soltanto nel giugno del 1926 quando, sindaco il dr. Giuseppe Cuttone, viene riproposta la convenzione tra il Ministero dei LL.PP., le FF.SS. ed il Comune, previo aggiornamento dei prezzi. I Comuni interessati sono ora 24, ricadenti nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento, per cui si richiede una quantità maggiore di acqua derivante da ben 4 sorgenti, S.Cristoforo, Montescuro, S.Benedetto e Fontana Grande. La spesa prevista per il Comune di Partanna ammonta a £ 3.668.248, oltre alle spese annue di £ 32.815 per manutenzione, sorveglianza ed esercizio. La quota di ammortamento è pari a £ 24.846, facendosi carico lo Stato della restante parte. Nella convenzione viene ribadito che la ripartizione dell’acqua si effettuerà “mediante luce a stramazzo nella vasca di carico situata nel serbatoio ripartitore di mc 3.000 presso Partanna”.

 

L’acquedotto comunale

Mentre, però, i lavori relativi alla conduttura dell’acquedotto promiscuo prendono il via, le lungaggini burocratiche e, forse anche politiche, ritardano, purtroppo, la realizzazione della rete interna di distribuzione.  E’ solo nel giugno del 1927, infatti, che il Podestà avv. Nicolò Patera, subentrato al Sindaco Cuttone, “constatato che [sono] in corso di esecuzione i lavori relativi alla conduttura dell’acquedotto promiscuo”, delibera di affidare l’incarico di progettazione della rete interna all’ing. Nicolò Lombardo col compenso di £ 1% sull’importo a base d’asta. Ma un esposto da parte dell’ing. Giuseppe Catalano fanno ritardare di altri 9 mesi la formalizzazione dell’incarico. Il Catalano, infatti, in un esposto al Prefetto si dichiara disposto a redigere il medesimo progetto col ribasso di £ 0,20%. Di fronte a tale offerta, il Prefetto con nota del 22/12/1927 rimanda la pratica. Solo a fine marzo del 1928 la disputa si risolve con l’accettazione da parte del Lombardo dello stesso compenso proposto dal Catalano e solo perché intanto quest’ultimo dichiara di “tirarsi indietro”. Ma le lungaggini non sono finite. Trascorrono, infatti, ben 2 anni prima che il progetto venga prodotto, nel marzo del 1930, e addirittura altri 7 prima del suo aggiornamento, nel marzo del 1937, “dopo varia corrispondenza”, molto probabilmente di natura economica relativa alla liquidazione delle competenze per l’attività pregressa.  E quando nel 1938 il podestà dell’epoca, sig. Pietro Lentini, decide di avviare le pratiche per l’ottenimento del mutuo, il progetto Lombardo necessita di ulteriori aggiornamenti richiesti dalla nuova situazione di fatto creatasi in seguito alla costruzione del serbatoio generale e a un nuovo piano di distribuzione di acqua. Le sopravvenute attività belliche, infine, rinvieranno al dopoguerra la soluzione definitiva del problema che si avrà soltanto nel 1953.


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