Al 24° Congresso dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria attenzione per le nuove frontiere diagnostiche e terapeutiche della malattia di Alzheimer

FIRENZE – AIP – Alzheimer: pazienti sempre più anziani, ma identificati come probabili fattori di rischio diabete, insulino-resistenza, malattie del fegato, disturbi del sonno. Con la diagnosi precoce nuove opportunità per frenare la malattia

“Per l’Alzheimer si riduce l’incidenza e aumenta la prevalenza. Gli ottantenni di oggi sono meno colpiti, ma l’invecchiamento della popolazione porta in assoluto a un incremento di pazienti” spiega il prof. Alessandro Padovani, Direttore della Clinica di Neurologia e Prorettore alla Ricerca dell’Università degli Studi di Brescia.

Nuovi studi sui fattori di rischio della malattia di Alzheimer propongono scenari inediti per effettuare una diagnosi precoce, che potrebbe ritardare la comparsa dei sintomi o evitare che questi insorgano. Sono stati infatti identificati alcuni fattori di rischio come diabete, insulino-resistenza, malattie del fegato, disturbi del sonno, che molto probabilmente concorrono a determinare questa patologia. Se queste ricerche fossero confermate sarebbe un significativo passo avanti nella prevenzione, visto che le terapie, nonostante alcune potenzialità, non presentano significative novità.

“I fattori di rischio che stanno emergendo come correlati alle caratteristiche neuropatologiche della malattia di Alzheimer sono il diabete o la cosiddetta insulinoresistenza della sindrome metabolica attraverso l’infiammazione sistemica, che favoriscono l’accumulo di beta-amiloide da cui poi deriverebbe il processo neurodegenerativo – sottolinea il prof. Alessandro Padovani – Altri due elementi sembrerebbero correlati all’infiammazione sistemica: l’insufficienza epatica non alcolica, spesso legata all’obesità e ai disturbi dell’alimentazione, e la steatosi epatica alcolica, spesso aggravata dal consumo di alcol anche in età avanzata. Il fegato, infatti, svolgerebbe una funzione di filtro o di eliminazione dell’amiloide circolante. Ancora non ci sono dimostrazioni scientifiche, ma è un ipotesi accreditata su cui diversi gruppi stanno lavorando. Un terzo aspetto che emerge sull’individuazione dei fattori di rischio è legato ai disturbi del sonno: un sonno disturbato, inferiore alle 6 ore, aumenta il rischio di decadimento cognitivo; da recenti studi emerge che alcuni farmaci che agiscono sull’orexina non solo migliorano il sonno e le prestazioni cognitive, ma agiscono sui biomarcatori correlati allo sviluppo della malattia di Alzheimer”.

“Le recenti ricerche sui biomarcatori dell’Alzheimer identificano importanti segni che un individuo andrà incontro a una demenza – sottolinea il prof. Diego De Leo, Presidente AIP –. Si tratta di una puntura lombare che preleva il liquor cefalo-rachidiano che circonda il sistema nervoso. Nuove modalità di analisi dei biomarcatori si possono oggi fare anche tramite analisi del sangue, con un accesso più semplice e generalizzato, intervenendo quindi anche in persone che non presentano segni di malattia. Tuttavia, questa disponibilità pone questioni etiche oltre che organizzative, per identificare le persone da sottoporre a questi test”.

Questi studi sono stati al centro del 24° Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana Psicogeriatria – AIP. Tre giorni al Palazzo dei Congressi a Firenze con oltre 500 specialisti tra geriatri, neurologi, psichiatri.


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