In morte e in vita di Enzo Culicchia

PARTANNA – Sì, è proprio vero: non esistono cattivi maestri, ma solo cattivi allievi. E da questo voglio partire a proposito dell’uomo Culicchia che da mezzo secolo era diventato inscindibile dall’”onorevole”. E non serve prendere posizione tra coloro che ne parlano bene o male e coloro che ricorderanno solo il politico, colui che nell’immaginario collettivo era il “santo” a cui rivolgersi perché perorasse la causa di ciascun partannese. Di sicuro “miracoli” ne ha fatti, ma avviare un processo di beatificazione sarebbe troppo, come sarebbe improprio e ingiusto avviarne uno di demonizzazione. Quei pochi che hanno letto ciò che ho scritto su di lui in vita sanno che lo chiamavo – anche da queste pagine – il ”re.” Con evidente sarcarsmo, ma anche con malcelato rispetto. Sanno che gli ho sempre rimproverato che ha insegnato ai partannesi l’assistenzialismo, il non fare, il raccomandare le raccomandazioni: in poche parole credo che l’onorevole abbia contribuito – politicamente ma soprattutto culturalmente – a fare una Partanna piena di “assistiti”, piena di valori non proprio condivisibili e che portavano meriti e favori a chi forse non avrebbe meritato, ai furbi del quartierino, a poveri e ricchi senza una precisa scelta di classe se non quella di chi non aveva idee, forse molti neppure dignità: il seguire là dove ti porta il posto, l’annullamento del merito, la valorizzazione delle “conoscenze”, a tutto scapito della conoscenza, dello studio (Partanna è il paese in cui l’odio per la lettura arriva anche a non far leggere i cartelli stradali), l’arroganza del potere, un certo nepotismo, l’impiegomania e tanto altro ancora non ultimo il peccato per me più grave: l’omissione. L’onorevole molte, troppe cose ha lasciato che “accadessero”: l’arroganza di impiegati che tenevano il loro posto non come servizio ma come potere, la distruzione delle bellezze dei nostri cortili, la lunga agonia di una città che lasciava partire i suoi figli verso l’ignoto, il proliferare di appalti e cemento e altro ancora. Non fu opera sua: e tutti i partannesi onesti sanno nomi e cognomi. Ma lui non è intervenuto: ha lasciato che, appunto, il male “capitasse”: “li guai cu l’havi si li chiangi”. Lo so: dei morti bisogna sempre parlare bene, ma ciò non significa mentire proprio perché la nera signora non lo permette. Odio (politicamente) Brunetta: ma il figlio di Dario Fo, Jacopo, ha detto che è stato uno dei pochissimi che sia stato sincero. E guai agli agiografi! A coloro che osanneranno Culicchia ora che è morto. E guai a chi volesse giudicare l’uomo e non il politico. La verità storica viene sempre a galla. La morte è una cosa seria. E l’uomo Culicchia – che ho conosciuto da sempre ma che solo negli ultimissimi anni ho frequentato – ha sempre avuto quelle doti speciali e umane che lo fanno rivalutare agli occhi di chi non è obnubilato da una appartenenza o da un odio ideologico che si è proiettato su di lui facendolo uomo discusso e forse discutibile. Come tutti noi del resto, anche se il suo continuo dire “sì”, sono sicuro che provenisse dal cuore. Ma Enzo Culicchia – lui, l’uomo – aveva delle doti sue che lo fecero sempre un “signore” malgrado circondato da “amici” (i falsi amici molti dei quali una volta ottenuto il posto gli hanno voltato le spalle) che hanno creato un uomo da esecrare. I suoi “allievi” appunto. O gran parte di loro come quelli che imponevano la loro autorità epistemica da un albero di pino che bollava senza processo i buoni e i cattivi. Sì, molti di coloro che da lui sono stati beneficiati. I cosiddetti “culicchiani” di ferro. Coloro che erano saliti ai più alti gradi delle ASL, della Regione, degli uffici comunali, della Sovrintendenza, dell’ISEF e di tanto altro ancora, creando un patto di ferro in cui lo stesso “onorevole” rimase imprigionato. Credo per “candore”. Lui, uomo dal grosso ingegno politico, cadde nella tela di ragno della passività e della arroganza che altri ragni malevoli avevano tessuto e continuano a tessere. Credo fosse un uomo buono, Enzo, con una cattiva fama che non gli avversari gli avevano creato, ma i cosiddetti “amici”: che il candore del compianto Enzo non seppe riconoscere. Lo ripeto: era intelligente e preparato Culicchia: e il fatto di aver “governato” nel bene e nel male Partanna lo si deve alla sua abilità e in gran parte alla “pochezza” dei suoi avversari. Pochezza culturale innanzitutto, ma anche pochezza (o povertà?) politica di quanti lo volevano osteggiare senza valere un’unghia di quanto valeva “l’onorevole”. Ed è oltremodo sgradevole constatare come molti suoi “amici” lo abbiano abbandonato quando non servì più e cadde in disgrazia. Dopo averlo spremuto come un limone. Ora io piango l’uomo che si era rivolto al suo nemico – il sottoscritto – perché ne scrivesse la biografia dopo la sentenza che lo assolveva da accuse campate nell’immaginario di una splendida e coraggiosa ragazzina che aveva bisogno di antropomorfizzare il male in una persona importante e popolare. Chiesi una sera a Milano a Leoluca Orlando (ero con i miei amici giornalisti del “Corriere della sera” e dell’Unità per cui scrivevo anch’io) se riteneva che Culicchia fosse mafioso. Leoluca mi rispose un no deciso. Chiesi al professore (io lo chiamavo così) una volta di Rita Atria. Mi rispose senza livore con il suo solito candore: “siamo entrambi vittime della mafia. Ma lei ha pagato di più”.Mi ritrovo costretto a riferire un episodio personale: quando fu assolto c’era una lotta da parte delle destre contro la Magistratura. Enzo voleva (ed esistono diversi testimoni che credo fossero amici “veri”) che scrivessi la sua vicenda. Dissi che sapeva bene cosa pensassi di lui e di ciò che politicamente “ero” e che quindi non avrei potuto scrivere su di lui senza toccare il “politico”. Mi disse che preferiva fossi io a farlo proprio perché avversario, ma avversario leale e che aveva tifato per Mani pulite piuttosto che uno dei “suoi”. Ora Enzo riposa in pace e non so se sia contento del fatto che tutti coloro che gli sono succeduti non hanno mai avuto la sua intelligenza, le sue capacità, il suo carisma. Non è un giudizio morale, ma “culturale”: i suoi successori non hanno avuto né la sua personalità, né il suo carisma e signorilità, né la sua preparazione e umiltà da “uomo del popolo” costretto in una tela di ragno filata da ruspanti, da baciapile ingrati, da sepolcri imbiancati. Riposa in pace? Lo vorrei tanto. Mi viene in mente Cesare Pavese che lasciò scritto:…“e per favore, niente pettegolezzi”. Ciao Enzo, sei stato un grande. Per me un amico dato che tale potevi essere. E non ho mai fatto parte degli “amici degli amici”. Il resto? Lo lasciamo ai cattivi allievi.….Che non mancheranno di rivolgermi delle critiche convinti come sono che generalizzo e che loro, loro, onesti e per nulla clientelari (cu ci voli cridiri ci cridi) furono sicuramente migliori. Il potere. Hanno fatto di più? E allora stiano zitti. Quando suona la campana non andare a chiedere per chi suona. Essa suona per te (J. Donne).

Vito Piazza

Ispettore ministeriale partannese e docente universitario

 


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