In ricordo di Benedetto Patera: “Quel grande critico d’arte venuto da Partanna”

PARTANNA – Il 5 gennaio u.s., alla veneranda età di 94 anni, è venuto a mancare il nostro illustre concittadino prof. Benedetto Patera, noto storico e critico d’arte, ricercato saggista e conferenziere, apprezzato docente per oltre 50 anni equamente distribuiti tra i Licei e l’Università degli Studi di Palermo, nonché appassionato e cultore di musica classica e cinema. Lascia una pubblicistica che si può ben dire sterminata, con oltre trenta pubblicazioni di varia natura e una miriade di interventi su riviste e giornali.

Il cordoglio del mondo artistico

Ad esprimere il cordoglio del mondo artistico palermitano sono le più significative riviste locali. “Cultura Palermo” lo ricorda come “uno dei maggiori storici dell’arte siciliani”; “Mondo Palermo” sottolinea la dedizione del Patera “al Rinascimento siciliano e in modo particolare ad Antonello Gagini e Antonello da Messina”. Ma è “Nuovo sud.it” a coglierne uno degli aspetti più intimi: la rivista palermitana, per la penna di Totò Rizzo, dopo averlo definito “tra i più importanti ed acuti storici dell’arte del dopoguerra” ne ricorda l’amore per il suo paese d’origine ponendo addirittura come sottotitolo all’articolo l’espressione “quel grande critico venuto da Partanna”, rivelando che il Patera “ci teneva a questa origine della provincia trapanese”.

 L’amore per Partanna

Per il paese natale il Patera prova un sentimento viscerale che lo porta dapprima a seguire con apprensione le sorti della Partanna sconvolta dal terremoto e successivamente a sviluppare una sorta di rabbia nei confronti di un’intera comunità che non aveva saputo scongiurare le indiscriminate demolizioni dei monumenti risparmiati dal terremoto. Un sentimento che si traduce nella decisione di un definitivo distacco fisico dalla sua città natale e in una serie di scritti tesi a stigmatizzare quello che egli definisce “lo scempio di Partanna”. Vengono alla luce, così, due monografie illustrative, una del 1970 per Cronache Parlamentari Siciliane e una del 1983; e due documenti rievocativi, “Partanna trent’anni fa” e “A trent’anni dal terremoto”.

Lo studioso dell’arte

Benedetto Patera sviluppa la sua ricerca scientifica lungo due linee: quella di studioso di storia della critica d’arte e quella di attento e rigoroso indagatore del patrimonio artistico siciliano.

Da studioso, egli predilige il ‘400 e il ‘500. La sua originalità consiste soprattutto nella scoperta e la rivalutazione di alcuni ‘minori’ e nei rapporti tra la creazione figurativa e quella letteraria. Nascono così una “Introduzione alla Storia dell’arte (Le Monnier, 1963) ristampata fino al 1972, “La letteratura sull’arte nell’antichità” (Flaccovio, 1975), “L’arte della Sicilia Normanna nelle fonti medievali” (Ila Palma, 1980), “L’archeologia cristiana nella Sicilia occidentale” (BCA Sicilia, 1981), “Scultura” III volume del Dizionario degli artisti siciliani del Sarullo (Novecento, 1994) “Da Giotto alla Maniera: la critica d’arte in Italia da Dante all’età del Vasari” (Flaccovio, 1995), la voce “Sicilia, Epoca normanna” nel X volume dell’Enciclopedia dell’arte medievale (Treccani, 1999), “Il Rinascimento in Sicilia, da Antonello da Messina ad Antonello Gagini” (Kalos, 2008).

Da innamorato del patrimonio artistico siciliano, il Patera rivolge la sua attenzione alla conservazione delle testimonianze d’arte alla cui conoscenza contribuisce con la pubblicazione di affreschi medioevali, stucchi serpotteschi, disegni e pitture dell’Ottocento, con speciale riguardo alla Sicilia occidentale e a Partanna in particolare, considerata la città urbanisticamente più interessante della Valle del Belice.

Di questo filone ricordiamo: “Urbanistica e monumenti e terremoto nella Sicilia occidentale” (Ila Palma 1970), “Francesco Laurana in Sicilia” (Novecento, 1992), catalogo della mostra commemorativa di Gennaro Pardo. Alla sua città natale, oltre alle monografie e ad un ricco catalogo di foto, dedica tre studi critici, “Giacomo Serpotta a Partanna” (Fondazione Mormino, 1969), “Fra Felice ritrovato” (Comune di Partanna, 1984) e “Antonio Sanfilippo – poeta del segno-colore” (Kalos, 1991).

Altre sue passioni

La sua passione per la fotografia, per la musica e per il cinema, si traduce in popolare diletto, vuoi che si tratti di opere liriche trasposte per il grande schermo che di biografie di grandi del pentagramma narrate in pellicola. Una passione – quella per la musica – “ereditata” dal padre, noto a Partanna come “il Tenore”, e condivisa con Sara, sua moglie, musicista e critico musicale, ricordata ancora oggi dai partannesi per una sua esibizione al clavicembalo durante un concerto tenuto nel Castello Grifeo nel maggio del 1992 insieme a Manya Ninova, al violino, e a Rose-Marie Soncini, al flauto. Da questa passione nascono: “Visioni della provincia di Trapani” (De Agostini, 1961) e “Il Teatro Massimo di Palermo – Cento anni attaverso le stagioni liriche e gli artisti” (Theatron, 1998), oltre a numerosi saggi sulle opere presentate al Massimo di Palermo o al Teatro Bellini di Catania, tra cui “Rigoletto al cinema” (1986), “Dall’Aida di Sophia con la voce di Renata” (Grafiche Pezzino, 1988), “Immagini di Rossini e compagne” (1996), “Ingrid Bergman dal rogo al cielo nel film di Rossellini” (2003), “Mimì va al cinema” (2005).

Una sua testimonianza

Per onorare la memoria di Benedetto Patera, ci piace riproporre alcuni stralci di un suo articolo scritto per Kleos nel Novembre del 2009, in cui non sai se ammirare di più la meticolosità nella presentazione di uno spaccato della Partanna del 2° Dopoguerra o l’emozione quasi fanciullesca di chi rivive con struggente nostalgia un bene perduto.

Quel 20 luglio del 1943, dopo lo sbarco alleato di dieci giorni prima sulla costa meridionale dell’isola, i carri armati americani del generale Patton, provenienti da Castelvetrano attraverso “li quattru vii”, erano entrati nel nostro paese verso le due del pomeriggio risalendo lentamente un’assolata e deserta “strata mastra” dal Castello alla Villa, e proseguendo poi per Palermo. A reggere provvisoriamente il nostro comune era rimasto il famoso colonnello Charles Poletti nel ruolo di Capo dei Servizi Civili del Governo Militare Alleato…

Può esser abbastanza esemplificativa dell’incertezza di quei giorni una domanda rivoltami da Maria Fisichella, la bella figlia del cancelliere della pretura, piuttosto ansiosa anche per i precedenti fascisti del padre: «Senti: ma tò papà chi dici, chi diventamu ‘nglisi o amiricani?» Richiesta per lei legittima dato che mio padre, per la sua trascorsa esperienza di tenore di un certo successo negli Stati Uniti, era stato chiamato a fare da interprete ufficiale dello stesso Poletti, il quale, passato a Palermo era riuscito a far riaprire il Teatro Massimo con un primo concerto alle ore quindici del 14 novembre. Evento al quale ebbi la ventura di assistere. Ma chi mai avrebbe potuto riaprire a Partanna il vecchio Cinema Pandolfo di via Caprera sia per la frequente mancanza della corrente elettrica che per l’assoluta impossibilità di far arrivare le pellicole? Così, i maggiori punti di aggregazione erano i vari bar che si susseguivano sul lato sinistro della “strata mastra”, da quello dei fratelli Chiofalo, quasi di fronte alla Chiesa del Collegio, al ‘Moretto’, poi “Due Palme”, dei fratelli Di Mariano, poco dopo la “cantunera di San Franciscu”, dallo storico “Cafè di donna Luigina” poco prima di ‘la cantunera di lu cinema’, al bar dei Caruso, poco oltre quest’ultimo quadrivio…

La mia abitazione dava “supra li quattru cantuneri di la chiazza”, come tutti chiamavano, anche se la piazza non c’era, questo autentico centro della vita paesana all’incrocio di corso Vittorio Emanuele con via Mazzini, con negli altri canti la buona macelleria dei Russo, l’albergu di Minicu Boscu che vendeva anche il ghiaccio e il buon vino sfuso e il cui ingresso era sormontato dalla vistosa insegna ‘Albergo Nuova Italia’, e la putia di don Gaspanu e donna Pippina …

Poi verso novembre venne riaperto, col nome di ‘Circolo Nuovo’ l’antico ‘Casino dei Civili’ a cui il regime aveva imposto il nome di ‘Dopolavoro Littorio’, ma che tutti continuavano a chiamare ‘lu circulu di li nobbili’…

Fu così che fra un gruppo di giovani, tutti nati tra l’inizio e la fine degli anni Venti, incominciò a prender corpo l’idea di un circolo tutto nostro, che si realizzò verso la fine dell’autunno del 1943, allorché fu possibile usufruire di un grande locale al pianterreno del vecchio Monte di Pietà, quasi di fronte al Circolo Nuovo. Il nuovo club assunse il nome di Circolo Universitario. Per l’inaugurazione del CUS venne programmata per la sera del 18 dicembre una gran festa da ballo. Ma proprio nella notte precedente, alcuni individui accatastarono al centro del salone un po’ di sedie, tavoli e poltrone che vennero incendiati. Ma il CUS non si arrese e appena cinque giorni dopo, con sedie e divani prestati dal Circolo Nuovo, la mattina di giovedì 23 tenemmo un’inaugurazione culturale. Da quel momento l’attività del CUS, prevalentemente volta all’organizzazione di affollatissime serate danzanti, in concordata riuscì a decollare sul piano culturale. E appunto in questo clima, verso la fine del 1944, mettemmo mano ad uno spettacolo di varietà sul palcoscenico del Cinema Pandolfo in cui, per la prima volta, si sarebbero esibite anche le ragazze del tempo, cosa mai avvenuta nel teatrino dell’Azione Cattolica a San Giuseppe o in quello del Monastero benedettino …

 

 


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