Necropoli di Contrada Stretto e Cranio trapanato

PARTANNA – La necropoli di Stretto ci consegna anche un altro elemento di grande interesse per la comprensione delle influenze culturali e religiose che il Bicchiere Campaniforme apportò alle locali popolazioni della fine del III millennio a.C. Si tratta della pratica della trapanazione cranica, esemplificata  dal rinvenimento di un cranio trapanato studiato da Rosaria Di Salvo in una tomba a grotticella ed arrangiamento dolmenico antistante con corredo composto anche di elementi campaniformi, sita sul fianco sinistro del vallone Stretto, a valle della strada che taglia la contrada.

In sintesi anche se spesso l’ipotesi diffusionista etnica è stata rifiutata, tuttavia bisogna ammettere che la presenza del medesimo Bicchiere e degli altri elementi campaniformi a grande distanza non può non spiegarsi se non con l’esistenza di contatti prolungati a vasto raggio. L’evidenza siciliana dimostra che, tramite la Sardegna, i contatti furono non solo con l’Iberia, ma anche con la penisola, il Mezzogiorno francese e l’Europa centrale. Lungo queste vie di comunicazione il Bicchiere venne in contatto con le rotte che collegavano il Mediterraneo centrale con quello orientale dando luogo, come nel caso della Sicilia a riuscite forme di sincretismo tipologico. L’episodio del Bicchiere rappresenta, quindi, una chiara evidenza di contatti interregionali che non possono essere esorcizzati in nome di un antidiffusionismo di principio, ma che vanno spiegati pensando anche a limitate espansioni etniche e nell’ottica dell’affermarsi di nuovi sistemi di vita, di gestione delle risorse, di tecnologie e mode.

L’evidenza siciliana avvalorerebbe l’ipotesi che il Bicchiere sia la spia dell’incremento della differenza di status nell’ambito delle società europee dell’età del rame. In altre parole dovette essere l’affermarsi anche in Sicilia, di progressivi fenomeni di “social ranking”  a favorire la diffusione del Bicchiere e dei suoi prodotti sul finire del III millennio a.C. Il possesso e l’utilizzo del Bicchiere diventa elemento di competizione fra le elites di aree tra loro vicine nel quadro di oscure logiche di appartenenza. Tale competizione era mirata, infatti, verso il raggiungimento di determinati standard di status necessari per il controllo delle risorse. A questo processo di sviluppo dell’articolazione sociale nella società europea, legato alla diffusione del Bicchiere, si affianca (e probabilmente la genera) l’insorgenza delle prime forme di ripartizione politica del territorio anche in Sicilia, sotto forma di chiefdom (principati).

La realtà siciliana, a partire dalla metà del III millennio a.C., mostra, infatti, segni di sviluppo visibili, oltre che nelle dinamiche culturali, anche in forti tensioni sociali che tendono verso una chiara strutturazione articolata della società. Si va progressivamente passando dalla struttura appiattita della società agricola neolitica a quella ben differenziata e gerarchizzata dell’età avanzata dei metalli che, in Sicilia, appare chiaramente nella civiltà castellucciana.

Ma ritorniamo alla nostra contrada di Stretto per esaminare da vicino una delle tombe che costituiscono la vasta necropoli esistente, che possa datarsi al periodo in questione e che ha offerto elementi di valutazione interessanti. Purtroppo, infatti, la totalità delle tombe identificate nella contrada in questione fu violata in tempi passati. Soltanto una fu scavata regolarmente e, pur presentando chiari indizi di violazione parziale, consentì il recupero di numerosi dati e reperti.

La tomba a grotticella in questione (tomba 1) si trova sul fianco sinistro del vallone Stretto, a circa un centinaio di metri a valle della strada provinciale che collega Partanna a Montevago, a pochi metri da uno dei frammenti di fossato neolitico già esaminati.

Essa si apre nella parete rocciosa con l’ingresso volto verso Occidente. Purtroppo la tomba era stata già parzialmente violata dagli scavatori di frodo, ma l’intervento di ricerca ufficiale effettuato nel gennaio del 1988 portò al recupero di numerose testimonianze importanti. Fu possibile, infatti, raccogliere numerosi elementi dell’originario corredo funerario, nonchè la quasi totalità dei resti osteologici relativi agli individui inumati. Come molte altre tombe di queste contrade essa era diventata tana di riccio o porcospino. Di questa frequentazione se ne trovò traccia nello scavo e nelle unghiate al fondo di uno dei vasi recuperati.

La tomba è costituita da una grotticella artificiale scavata nel fianco calcarenitico a ca. m.20 dal fondo del vallone. Probabilmente trattasi di una cavità naturale successivamente adattata a sepoltura mediante regolarizzazione delle pareti interne.

La parete esterna della tomba era stata chiusa da un muretto costituito da lastre litiche affiancate di taglio ed inzeppate da pietre di medie dimensioni. Nelle vicinanze dell’ingresso della cella si trovò, all’esterno una lastra litica che doveva, quasi certamente, aver costituito il portello di chiusura originario.

Parte dell’originario riempimento interno alla cella era stato asportato e disperso nelle vicinanze dagli scavatori di frodo, mentre il deposito interno risultava parzialmente sconvolto.

Pochi furono i reperti relativi all’originario corredo funerario che fu possibile recuperare. Tra questi non figura alcun elemento campaniforme che però era certamente presente nel corredo originario poiché in tal senso concorrono i racconti avuti da vari abitanti della zona che si ricordavano della scoperta.

Abbondanti erano invece i reperti scheletrici. Le uniche parti intatte del deposito che attraverso i millenni aveva colmato la tomba si localizzarono presso i bordi della cella, laddove esso era stato concrezionato per azione di percolamento lungo la parete. Detto deposito concrezionato, oltre a contenere pochi reperti ceramici e litici, conteneva diversi crani (almeno sei) e ossa  post-craniali. Gli inumati dovevavno essere adagiati lungo il perimetro circolare dalla camera sepolcrale a diversi livelli con i crani addossati alla parete della cella. Si calcola che vi fossero circa 25 inumati.

I vasi di corredo di più grandi dimensioni si trovavano al centro della camera. Ciò che si recuperò del corredo suddetto era costituito da ceramica dipinta in bruno su fondo rosso o giallognolo, pertinente allo stile di Partanna-Naro, da elementi chiaramente inquadrabili nel repertorio del Bicchiere Campaniforme e da pochi pezzi acromi e non decorati d’impasto bruno o grigiastro.

La presenza di questo fenomeno di integrazione culturale tra le due grandi civiltà europee del Bicchiere Campaniforme, da un lato, e di Castelluccio di ascendenza egea, dall’altro, configura questa parte della Sicilia come un territorio di frontiera. E’ interessante notare che la connotazione di territorio di frontiera di questo territorio ritornerà anche in epoca storica con la frontiera tra l’ecumene fenicio-punico ad Ovest e quello greco ad Est.

    Sebastiano  Tusa

 


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