Nino Passalacqua SOSPETTO E V E R I T À sui funerali di Rita Atria

PARTANNA – Pubblichiamo a puntate la prima parte dell’opera (la seconda parte sarà pubblicata domani, 3 marzo 2024, alle ore 17) “SOSPETTO E V E R I T A’ sui funerali di Rita Atria” del dirigente scolastico in pensione e storico, Antonino Passalacqua, collaboratore di Kleos, in cui l’autore intende “ristabilire” la verità sulla posizione della Chiesa cittadina in relazione ai funerali di Rita Atria svoltisi a Partanna il 31 luglio 1992.

PRIMA PARTE

Nino Passalacqua

SOSPETTO E V E R I T A’ sui funerali di Rita Atria

Edizioni Kleos

INTRODUZIONE

Non sempre il “sospetto” è l’”anticamera della verità”, come vorrebbe far credere l’espressione attribuita al gesuita palermitano padre Ennio Pintacuda. Spesso esso coincide con la maldicenza; talvolta è addirittura sinonimo di calunnia; quasi sempre della verità è la tomba. In ogni caso è un elemento subdolo, dall’elevato potere diffusivo e devastante. Per sua natura il sospetto ha un aspetto bonario, talvolta accattivante; non aggredisce, non prende di petto un fatto o una persona: per ciò stesso non suscita forti reazioni, non viene contrastato o combattuto con armi adeguate. La sua forma dimessa, rivestita d’indifferenza, apparentemente priva di malizia, gli consente di passare di bocca in bocca senza eccessivi traumi in chi ne fruisce: colui che lo riporta non avverte quasi alcuna consapevolezza di male. E intanto il sospetto si diffonde, si insinua nella mente, dilaga; fra ammiccamenti e sorrisini, talvolta col tacito consenso della stessa vittima che non ne avverte la pericolosità, o non reagisce, per il fatto di sentirsi a posto con la coscienza o per timore di essere tacciata di permalosità. Infine esplode rivestendo i panni della verità nella stupida presunzione della sacralità del detto “vox populi, vox Dei”, che sarebbe meglio definibile come “circolarità del pensiero” del gruppo sociale, secondo cui tutto ciò che è pensato dai più esiste realmente. Se poi il ”sospetto” viene ripreso dai mezzi di comunicazione di massa, il gioco è fatto. Infatti, forse a causa di uno stato di dipendenza da uno “strumento” di cui non si conoscono i meccanismi o di una certa incapacità di rapportarvisi criticamente, la maggior parte della gente considera il libro, il giornale, la radio e, più ancora, la televisione, come fonte codificata di verità: qualsiasi notizia diffusa dai mass-media, lungi dall’essere vista come la semplice opinione di 8 una persona (giornalista, scrittore, speaker), generalmente di parte, viene recepita dai più come la manifestazione oggettiva di una fonte ufficiale, impersonale, astratta e, per ciò stesso, veritiera. E’ quello che si è verificato nel caso di una vicenda in cui è stata coinvolta, diciamo così, la Chiesa di Partanna nella persona del Parroco della Chiesa Madre, Arciprete don Calogero Russo, in occasione dei funerali di Rita Atria, la giovane “collaboratrice di giustizia”, morta suicida il 26 luglio 1992. Allora, là dove si confezionano le illazioni che debbono prendere forma di “verità”, viene imbastita una “leggenda metropolitana”, secondo cui il Parroco non avrebbe celebrato esequie religiose per Rita. Sarà stato a causa di una tale notizia o sarà stato il “bisogno” di trovare un capro espiatorio, fatto sta che da quel momento il santo Arciprete viene fatto segno ad un attacco diabolico. Tramite telefonate e lettere anonime, viene insultato, deriso, addirittura minacciato. Soffre in silenzio Don Russo, da quel prete “all’antica” qual è, ligio ai precetti del diritto canonico, schivo di ogni forma di protagonismo, paziente e umile, rispettoso dell’altrui dignità, anche quando sente il bisogno di rispondere a tali accuse“ perché del suo silenzio non nascesse scandalo ai deboli” (Da “L’imitazione di Cristo”). Tant’è che in un “comunicato” diffuso a mezzo stampa, (“A PARTANNA UN ‘MARCHIO’ IMMERITATO, ai Partannesi il diritto di rifiutarlo” – 15 Agosto 1992), più che a sé, egli pensa al buon nome della Comunità partannese e della chiesa locale. Respinge, pertanto, con fermezza e con argomentazioni di natura sociologica scientificamente fondata, quello che egli definisce un “marchio immeritato”,

“Carissimi Concittadini, che mi siete fratelli e sorelle nel Signore, Gli articoli dei giornali e dei periodici e le riprese delle telecamere vengono sotto il termine di “servizi”. In realtà, però, non sempre sono tali. Quale servizio, infatti, hanno reso a Partanna, a fine luglio u. s. , alcuni “inviati” dalle più note testate e dai canali televisivi che attraversano l’Italia e ne oltrepassano i confini? E’ stato un vero “servizio”, o non piuttosto un saggio … di come si possa offuscare l’immagine di una comunità civica o religiosa … così che alcuni episodi, non determinati dallo “spirito” della comunità, sono diventati, ingiustamente, espressione dell’intera cittadinanza? Direi a questi cari “addetti ai lavori”: Se è già tanto difficile conoscere in breve tempo una singola persona, come avete potuto conoscere in un baleno un’intera comunità che non è soltanto un agglomerato di abitazioni … o un casuale accostamento di migliaia di persone, ma anche, e soprattutto, espressione di uno “spirito” prevalente, che la qualifica nel concerto di altre comunità sorelle?… Cosa hanno potuto capire di Partanna, questi amici … piombati qui d’un tratto? Hanno compreso … che il male che condusse alla tragica fine la giovane Rita, non solo non era suo, ma non era e non è neppure di Partanna, considerata come comunità, bensì di singole persone che – di Partanna o di altre località – non rappresentano assolutamente il vero spirito dei partannesi? Quanto riduttiva e distorta, la valutazione su Partanna, fornita da alcuni frettolosi “inviati”! No, Partanna non meritava questo!

Relega, poi, in poche righe l‘attestazione di aver celebrato le esequie funebri al cimitero definendo quelle notizie

“Falsi di cronaca:  – Se la bara della giovane Rita Atria non è stata condotta in chiesa, non è dipeso dall’Autorità ecclesiastica, ma dai Familiari e dall’Autorità preposta all’ordine pubblico. E’ falso affermare il contrario. Nessun rifiuto, infatti, da parte della Chiesa, in considerazione dello stato depressivo in cui si è venuta a trovare Rita dopo il barbaro assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta. – Falsa anche l’affermazione di una giornalista, secondo la quale il Vescovo di Mazara … avrebbe diramato un telegramma alle Chiese di Partanna, perché, per l’occasione, rimanessero chiuse. E’ stato anzi lo stesso Vescovo, Cui (in conformità ai cànoni che disciplinano la vita della Chiesa) mi ero rivolto per le opportune istruzioni in un caso di suicidio, a decidere per le esequie religiose, che sono sempre tali indipendentemente dal luogo in cui si celebrano: Tempio, Cimitero o altro luogo ritenuto adatto”.

E riserva, infine, un semplice cenno alle offese ricevute mediante una velata espressione:

“Perdono di cuore tutto ciò che mi riguarda”.

Con quel comunicato, tutto sembrava essere stato chiarito, ma evidentemente così non era. A distanza di un anno, infatti, il gesuita Palermitano padre Ennio Pintacuda, in una sua memoria, riprende e amplifica la suddetta illazione, richiamata poco dopo da un foglio locale. Mons. Russo ancora una volta cerca di chiarire i fatti in maniera sommessa: scrive una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno a padre Pintacuda e avvicina di persona i redattori del giornaletto, invitando l’uno e gli altri a rettificare la notizia. Non ottiene, però, risposta alcuna: al suo delicato invito segue uno sfacciato silenzio. E, tuttavia, malgrado l’atteggiamento a dir poco irriguardoso del gesuita e dei redattori del foglietto cittadino, la consapevolezza di essere tranquillo in coscienza e la convinzione che i fatti svoltisi in quella triste giornata fossero, in fondo, di dominio pubblico, dissuadono Mons. Russo dall’intraprendere forme di protesta eclatanti. Fino a quando il 24 novembre 1997, durante uno di quei rituali incontri degli alunni della scuola Media cittadina con personaggi più o meno ascrivibili alla categoria di operatori dell’”educazione alla legalità”, don Luigi Ciotti, noto per aver dato vita a due associazioni in chiave antimafiosa, il “Gruppo Abele” e “Libera”, non rimette il dito nella piaga riproponendo il malevolo “sospetto” con parole che sanno di giudizio inappellabile:

“la Chiesa locale non capì fino in fondo il dramma di Rita Atria negandole i funerali”.

E’ stato chiaro in quel preciso momento che si imponeva una presa di posizione forte e solenne in difesa della “Chiesa locale”, per ristabilire la verità dei fatti; una presa di posizione sostenuta con armi adeguate e combattuta sullo stesso piano di chi sembrava avere tutto l’interesse di infangare uno dei pochi aspetti chiari di una vicenda sicuramente complessa. La reazione, come al solito composta e civile, viene messa in atto dal diretto interessato mediante un nuovo comunicato, sempre a mezzo stampa, intitolato “Supplemento al foglio ‘A PARTANNA UN ‘MARCHIO’ IMMERITATO, del 15 Agosto 1992’ per un chiarimento più dettagliato sulle esequie della giovane Rita Atria celebrate nel cimitero di Partanna il 31 luglio 1992.- 26 Novembre 1997“ e una fiera intervista rilasciata al quotidiano “La Sicilia” di Catania. A questa si aggiunge poi una puntualizzazione da parte del mondo della stessa Scuola Media, per mano del vice-preside, prof. Antonino Battaglia, pubblicata su una rivista castelvetranese, “La Voce del Belice”. Sia chiaro che, nell’intraprendere questa operazione, non siamo mossi da spirito di polemica né dalla volontà di esprimere condanne: desideriamo soltanto portare un nostro umile contributo per ristabilire una verità di cui siamo stati, assieme a molti altri partannesi, testimoni oculari.

 Cap. I

IL “SOSPETTO”

Nel Dicembre del 1993 vede la luce, per i tipi delle Edizioni Piemme di Casale Monferrato (AL), un libretto, “La scelta”, di Padre Ennio Pintacuda, a cura di Aldo Civico. L’opera, a detta degli stessi autori, si propone addirittura di

“riportare alla memoria … ricordi di persone, circostanze, eventi del passato” [che in qualche modo hanno avuto] “un forte nesso” [con “la scelta” operata dall’autore di ] “lottare la mafia per quello che essa è realmente, i suoi livelli di collusione con la finanza e con l’economia, la sua organizzazione militare e la sua capacità di uccidere e fare stragi”. (Cfr. E. Pintacuda, La Scelta, Ed. Piemme (AL), 1993, pagg. 8-9).

 In tale libretto, al cap. 15 (“Un prete a Palermo ucciso dalla mafia”), l’autore accenna, tra l’altro, ad un episodio occorsogli in quel di Partanna (provincia di Trapani) azzardando un’ipotesi che ha tutta l’aria di una proclamazione di verità: il parroco si era rifiutato di celebrare i funerali di una “collaboratrice di giustizia” morta suicida. Il presunto “gran rifiuto” è così descritto:

“I mesi estivi (del 1993) sono stati già abbastanza duri e pesanti per la partecipazione alle varie manifestazioni che si sono svolte a Palermo ed in 14 altri posti per commemorare Falcone, Borsellino e i numerosi poliziotti assassinati. Da metà maggio agli inizi di settembre sono stato chiamato in varie parti della Sicilia per ricordare le varie vittime della mafia e per celebrare la messa nel primo anniversario delle stragi … Altra manifestazione significativa è stata quella di Partanna nel Trapanese, il paese di Rita Atria, la ragazza diciassettenne figlia di un mafioso con la quale Paolo Borsellino aveva creato rapporti di grande fiducia e collaborazione e dalla quale aveva avuto importanti rivelazioni. La ragazza, che era protetta dalla polizia in un luogo lontano, si è suicidata subito dopo aver appreso la notizia dell’assassinio di Borsellino. Il parroco del paese non aveva voluto celebrare i funerali in chiesa”. (Da: “La scelta” di E. Pintacuda, pagg. 216-218).

A tal proposito crediamo legittimo formulare due domande da rivolgere a Padre Pintacuda: – dove ha attinto il gesuita palermitano la notizia e su quali presupposti fondava l’attendibilità della fonte d’informazione? – perché non ha risposto alla richiesta di mons. Russo? Naturalmente, vorremmo che le risposte fossero tali da farci essere certi della sua perfetta “buona fede”. Su altrettanta “buona fede”, invece, non siamo pronti a giurare nel caso del “foglio” cittadino “Onda d’Urto” ispirato al movimento della “Rete”, una formazione pseudo-politica fondata in Sicilia da Leoluca Orlando e “benedetta” dallo stesso gesuita palermitano. In tale “foglio”, nel n. 5, viene riportata la notizia in questione ripresa dall’opuscolo di Padre Pintacuda. Trattandosi, infatti, di una Redazione costituita da persone del luogo, queste non avrebbero avuto bisogno di ricevere l’informazione da Palermo, che anzi avrebbero potuto essere essi stessi i delatori della notizia nei confronti di quel di Palermo. A meno che, alla domanda se quel pomeriggio del 31 luglio fossero presenti al rito funebre di Rita Atria, svoltosi nel Cimitero cittadino, sarebbero costretti a rispondere “no”. Nel caso in cui, invece, la risposta fosse “si”, sarebbe interessante sapere: – se hanno capito a che cosa stavano partecipando; – se hanno visto un altare dietro la bara; – se dietro l’altare hanno visto il nostro Arciprete rivestito da paramenti sacri; – se hanno capito che l’Arciprete Russo stava celebrando una Messa e tenuto un’omelia. Nel caso in cui le risposte fossero ancora una volta “si”, dovrebbero rendersi conto di aver commesso un atto gravissimo pubblicando una frase di padre Pintacuda pur sapendo che era falsa. Dalla lettura del “pezzo” tratto da “La scelta” risaltano subito agli occhi del lettore almeno tre elementi:

1. Il pietoso pellegrinare lungo le plaghe della Sicilia del povero gesuita palermitano impegnato in una battaglia di sensibilizzazione delle coscienze contro la mafia;

2. Il gesto suicida della giovane Rita Atria, collaboratrice di giustizia, come effetto della tragica scomparsa di Paolo Borsellino, procuratore della Repubblica di Marsala, morto in un agguato mafioso;

3. Il gran rifiuto del “parroco del paese” che “ non aveva voluto celebrare i funerali in chiesa”.

Tralasciamo, almeno per ora, i primi due elementi: non sono l’oggetto diretto della nostra ricerca; non sono funzionali all’economia del nostro discorso; potrebbero condurci su sentieri che non è nostro intendimento percorrere. Soffermiamoci, invece, sul terzo elemento. Esso ci dà l’opportunità di effettuare almeno due riflessioni.

La prima riflessione non può non riguardare il significato della frase che chiama in causa il parroco. La frase, sia per la struttura formale sia per la collocazione contestuale, non può dare adito che ad una ed una sola interpretazione: – il parroco si è rifiutato di celebrare i funerali religiosi. Vero è che l’autore nel testo inserisce le paroline “in chiesa”; ma è pur vero che se avesse voluto dire “in chiesa no, ma altrove si” l’avrebbe detto. Se non lo ha detto è perché lo esclude; o quanto meno, non dicendolo, produce (volutamente?) nel lettore il dubbio, il “sospetto” appunto, che così fosse avvenuto. Insomma, l’espressione “funerali in chiesa” sta chiaramente per “funerali religiosi”.

La seconda riflessione riguarda l’espressione impersonale, vaga e indeterminata: “il parroco del paese”. Viene subito da chiedersi: – Quale “parroco”?; – Non sa, padre Pintacuda, che in Partanna esistono tre parrocchie?; – Non sa che il parroco in questione è l’arciprete don Calogero Russo? Ma certo che lo sa! Lo sa, eccome se lo sa! L’autore de “La scelta”, infatti, non era assolutamente nuovo all’ambiente ecclesiale partannese. Ricordiamo, infatti, di aver avuto il piacere di ascoltarlo in occasione di un dibattito culturale organizzato dal Consiglio Pastorale della Parrocchia Matrice di Partanna nell’Aprile del 1980 sul tema “La famiglia: crocevia della tensione tra pubblico e privato” di cui è stato uno dei relatori su invito del “parroco” don Calogero Russo (1); dal che è facile evincere che tra padre Pintacuda e mons. Russo ci fosse quanto meno una discreta conoscenza, se non proprio una certa frequentazione. E, d’altronde, non è stato a Partanna padre Pintacuda il 26 luglio 1993, in occasione della celebrazione della messa in suffragio di Rita Atria proprio nella Chiesa Madre, nel primo anniversario della morte della giovane? In quella occasione, non ha incontrato monsignor Russo? Certo che l’ha incontrato e ha “assistito” alla messa celebrata dallo stesso Arciprete! E sì, perché, ad onta di quanto il gesuita palermitano sembrerebbe voler far intendere con quel brano che abbiamo riportato all’inizio del presente capitolo (“chiamato in varie parti della Sicilia per ricordare le varie vittime della mafia e per celebrare la messa nel primo anniversario delle stragi”), egli in quella occasione non ha celebrato messa, non ha neppure concelebrato: a celebrare il rito di suffragio in quel primo anniversario è stato proprio padre Russo, di concerto con i Commissari Straordinari del Comune. Esequie che si sono ripetute poi negli anni seguenti, puntualmente ad ogni anniversario, sempre nella Chiesa Madre e ad opera dell’Arciprete Russo, di concerto con le amministrazioni Comunali dell’epoca, fino al 1997, anno in cui lascia l’incarico di parroco per superati limiti di età. Il che, lo diciamo per inciso, fa risultare errata l’affermazione di don Ciotti, fatta davanti agli alunni della Scuola Media di Partanna nel novembre del 1997, secondo cui prima di lui mai nessun sacerdote aveva celebrato una messa per Rita Atria.

La terza riflessione riguarda il giudizio morale che la frase sottintende: un giudizio decisamente negativo. Certo, l’espressione da noi più volte riportata potrebbe anche contenere una premessa implicita che la farebbe suonare grosso modo in questi termini: -il parroco non aveva voluto celebrare i funerali in chiesa perché il suicida non vi può essere ammesso. E l’asserzione in questo contesto non avrebbe fatto una grinza. Conoscendo la dottrina di padre Pintacuda non si incontrerebbe difficoltà ad accettare la tesi che avrebbe potuto accreditare l’idea che 18 il dotto gesuita avesse voluto richiamare il dettato del Diritto Canonico. Ma anche in questo caso vale il principio che “se lo avesse voluto dire, l’avrebbe detto”. E invece … E’ più probabile, allora, che egli abbia voluto caricare l’espressione di un “sospetto” che l’ha resa portatrice di un’implicita condanna che suona così: -il parroco non ha voluto celebrare i funerali in chiesa … perché la vittima era una collaboratrice di giustizia. Infatti, da dove nasce l’esigenza, nell’autore de “La scelta”, di inserire nel contesto di un discorso profano (laico), che ha come filo conduttore la mafia e le sue vittime, quel particolare sacro, di per sé secondario e insignificante sul piano sociologico, che riguarda la celebrazione o meno di un rito religioso? Non è venuto egli a Partanna per ricordare Rita Atria senza con ciò sentirsi in dovere di celebrare, o quanto meno di concelebrare, la messa in suo suffragio? Tutto lascia pensare che padre Pintacuda, se sente il bisogno di evidenziare quel particolare, non lo fa, certamente, per il valore spirituale che la messa pur ha, ne siamo certi, ai suoi occhi. Egli vuole evidentemente insinuare il “sospetto” che il parroco, e con lui il mondo ecclesiale partannese, nello scenario di una città che si dividerebbe in due schiere (quella più folta dei mafiosi e degli omertosi da una parte, e quella sparuta degli onesti e degli antimafiosi dall’altra) si ritrovi, coscientemente o inconsciamente dalla parte dei primi. Anzi, più coscientemente che inconsciamente, a suo giudizio, considerato che il prete gesuita usa l’espressione “non aveva voluto”, là dove il termine “voluto” implica “coscienza, consapevolezza” delle proprie azioni, “deliberata scelta di operare“  in una determinata direzione. Naturalmente, le riflessioni finora fatte poggiano su una presunta realtà considerata incontrovertibile: -la veridicità dell’affermazione di Padre Pintacuda sul gran rifiuto del parroco del paese di Partanna. E’ chiaro, perciò, che, qualora si dovesse dimostrare che tale enunciato, non solo fosse da mettere in dubbio, ma risultasse 19 addirittura falso, il malevolo costrutto, più o meno esplicito nell’espressione presa in esame, crollerebbe miseramente. Chiediamoci, dunque: -E’ vero che il parroco non ha voluto celebrare i funerali in chiesa ? Prima di avventurarci nel ginepraio della ricerca della verità, mi pare opportuno chiarire a me stesso, prima ancora che ai pazienti lettori, il metodo da adottare in una simile impresa. Si tratta di scegliere tra i due classici processi conoscitivi: quello razionale e quello empirico. Ora a me pare che non vi sia alcun dubbio sul fatto che, in questo campo specifico, il secondo sia da preferire al primo. Infatti, il primo potrebbe sostenerci solo nel caso in cui l’argomento fosse da fondare sull’opinione: mi accorgo, per esempio, che io stesso ho seguito tale procedimento, non so fino a qual punto in maniera corretta, durante il percorso interpretativo della frase in questione, al fine di scoprire le intenzioni, più o meno recondite (o più o meno esplicite), dell’autore de “La scelta”. Ma quando l’oggetto della ricerca è una realtà concreta o un fatto realmente accaduto (che cade o è caduto sotto i nostri sensi) sarebbe ridicolo appellarsi alle opinioni o all’”ipse dixit” di questo o di quel “padre”.  

Cap. II

IL SOSPETTO BIS

Come abbiamo anticipato nella Introduzione, il 24 novembre 1997, alla presenza di alunni e docenti della scuola Media cittadina, chiamati a riflettere sulla necessità dell’educazione alla legalità, il relatore don Luigi Ciotti, nel richiamarsi alla tragica vicenda occorsa alla giovane collaboratrice di giustizia Rita Atria, rimette il dito nella piaga sostenendo che “la Chiesa locale non capì fino in fondo il dramma di Rita Atria negandole quei funerali che solo dopo cinque anni abbiamo avuto modo di celebrare”, riferendosi evidentemente alla Messa che egli aveva celebrato in Partanna alcuni mesi prima, nel quinto anniversario della morte di Rita, e implicitamente rimbrottando, a suo modo di pensare, il mondo ecclesiale partannese. Forse don Ciotti quel 24 novembre del 1997, rivendicando a sé il merito di aver celebrato la prima messa in suffragio dell’anima di Rita Atria, era caduto in una trappola mediatica. Forse si era fidato ciecamente della frase letta nel libretto di padre Pintacuda o delle informazioni degli stessi informatori del gesuita palermitano. E sì, perché anche padre Pintacuda si sarà fidato di qualche informatore, evidentemente in mala fede. E l’uno e l’altro parlano per sentito dire: riferiscono ciò che hanno avuto riferito. Senza preoccuparsi del fatto che avrebbero potuto attingere la notizia alla fonte, chiedendo direttamente delucidazioni allo stesso protagonista della vicenda. Ma, forse, la verità non serviva a nessuno dei due, perché non fa notizia “il cane che morde l’uomo”. Al prete palermitano, forse, interessava soltanto fregiarsi del titolo di “antimafioso”; a quello piemontese, la fregola di intestarsi la “primogenitura” di un atto meritorio. Siamo perfettamente convinti, per altro, che sia padre Pintacuda, sia don Ciotti, in merito al presunto rifiuto di funerali religiosi da parte della Chiesa di Partanna, siano stati indotti in errore da delatori falsi e bugiardi. Certo, in questi casi, da parte di così autorevoli personaggi ci si sarebbe aspettato quanto meno una maggiore circospezione: sarebbe stato opportuno, per esempio, preoccuparsi di verificare preliminarmente la fondatezza della informazione ricevuta, prima di scriverne e parlarne. Sarebbe interessante, comunque, scoprire gli “informatori” di Padre Pintacuda e di don Ciotti, se non altro per capire le motivazioni (religiose, politiche, psicologiche o psicopatiche?) che hanno potuto scatenare la tempesta nel classico “bicchier d’acqua”. Ma, c’è qualcuno disposto a scommettere un soldo fuori corso sul “coraggio” di autoaccusarsi da parte di chi ha imbastito quello che noi amabilmente continuiamo a definire “sospetto”? Il delatore anonimo, infatti, è sempre un vigliacco che “lancia il sasso e nasconde la mano”; e la nasconde perché ha paura, sapendo di muoversi in un campo minato fuori dalla legalità. Colui che vuole rilanciare la notizia, però, non può non preoccuparsi di sottoporre al vaglio di altre fonti quella che si propone di proclamare come verità. A meno di non voler cadere nello stesso errore del delatore. Tra l’altro, nel caso in questione, sarebbe stato oltremodo facile accertare i fatti, considerata la dimestichezza dei “rilanciatori” di notizie false con la persona-bersaglio da colpire. E una volta scritto e proclamato trionfalmente il “sospetto”, venuti a conoscenza della “verità” per essere stati avvisati epistolarmente, sarebbe stato quantomeno corretto emettere un comunicato, anche di poche righe, per chiarire l’equivoco. E tuttavia vogliamo continuare a parlare soltanto di “sospetto”, dovuto ad un equivoco, e non già, come sarebbe forse logico fare, di menzogne o addirittura di calunnie, di contro ad una verità che si sarebbe potuto e dovuto ricercare ancor prima di sospettare e che oggi, ne siamo certi, finalmente potrà trionfare: un po’, forse, anche per merito nostro. Nella ricerca della verità, più che procedere alla raccolta dei “si dice”, è indispensabile far parlare i fatti, attraverso l’excursus dei documenti, degli atti, della testimonianza delle persone che hanno visto e udito in quanto presenti all’evento. Non solo, ma è opportuno mettere a confronto documenti, atti e testimoni. Ed è su questa via che procederemo alla ricerca della verità, sottoponendo alla prova dei fatti il “sospetto”. Interrogheremo e porremo a confronto, pertanto: -alcuni “pezzi” giornalistici; – e alcuni documenti editoriali. Riservandoci, inoltre, di contattare due fonti insospettabili per registrarne le rispettive testimonianze, e cioè: -i parenti di Rita Atria e, segnatamente, il cognato, mar.llo Antonio Argento, – il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Partanna, mediante l’accesso ai documenti presenti nell’Archivio dell’Arma. Ma per offrire una visione più completa del contesto e del clima in cui sono nati e si sono sviluppati i fatti, ci sia consentito preliminarmente: – di presentare una panoramica degli antefatti, in cui viene, per sommi capi, ripercorsa la vita di Rita Atria, dal momento in cui è posta di fronte alla cruda realtà della soppressione del padre e del fratello, alla decisione di collaborare con la magistratura nella lotta alla mafia, fino alla tragica conclusione mediante un inopinato “salto” nel vuoto. – di offrire all’attenzione del lettore, per un chiarimento più dettagliato sulle esequie del 31 luglio 1992. le dichiarazioni pubbliche del parroco della chiesa Madre, don Calogero Russo, rese con il “Supplemento” il 26 novembre 1997, a due giorni di distanza dall’incontro di don Ciotti con docenti e alunni della locale Scuola Media, e l’intervista al quotidiano “La Sicilia” del 7 gennaio 1998.


Pubblicato

in

,

da