“SOSPETTO E VERITA’ sui funerali di Rita Atria” di Nino Passalacqua. Ultima parte.

PARTANNA – Pubblichiamo oggi, 24 marzo a puntate l’ultima parte dell’opera (la prima è stata pubblicata il 2 marzo, la seconda il 3 marzo, la terza il 10 marzo, la quarta ed ultima parte oggi, 24 marzo) “SOSPETTO E VERITA’ sui funerali di Rita Atria” del dirigente scolastico in pensione e storico, Antonino Passalacqua, collaboratore di Kleos, in cui l’autore intende “ristabilire” la verità sulla posizione della Chiesa cittadina in relazione ai funerali di Rita Atria svoltisi a Partanna il 31 luglio 1992.

QUARTA E ULTIMA PARTE

Nino Passalacqua

SOSPETTO E VERITÀ sui funerali di Rita Atria

Edizioni Kleos

Cap. VII
LA TESTIMONIANZA DELLA SCUOLA

Mi pare opportuno a questo punto “citare” come testimone il vice-preside della Scuola Media “Amedeo di Savoia Aosta” di Partanna, prof. Ninni Battaglia, intervenuto nell’agone imbastito contro don Calogero Russo da Don Ciotti durante l’incontro con docenti e alunni della stessa scuola, mediante una nota inviata al giornale “La voce del Belice“ di Castelvetrano.

E ciò per due ordini di motivi:
1 – perché non ci siano dubbi sul fatto che don Ciotti abbia veramente

pronunziato quelle frasi che riproponevano il “sospetto” lanciato da padre Pintacuda secondo cui l’arciprete Russo non aveva voluto celebrare la messa di suffragio per Rita Atria;

2 – e perché se ne possa trarre una ulteriore prova della falsità del sospetto stesso.

Nel trafiletto in questione il prof. Battaglia, dopo aver esordito sul perché della manifestazione

“Lunedì, 24 novembre u.s. [1997], nell’aula magna della scuola media “A. di Savoia Aosta” di Partanna, si è tenuto un incontro nell’ambito delle attività scolastiche contro la criminalità mafiosa, proposto dall’Associazione “Rita Atria”,

presenta una panoramica delle personalità presenti:

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Erano presenti il Preside, alcuni docenti in servizio tra i quali il sottoscritto e, in qualità di ospiti, il Sindaco, il neo Arciprete don A. Civello, alcuni rappresentanti dell’Associazione “Rita Atria”, la signora Rita Borsellino, sorella del compianto Giudice, e don Luigi Ciotti del Gruppo Abele…

per puntualizzare infine il motivo del contendere:

Rispondendo alle domande di alcuni alunni, don Ciotti e la signora Borsellino hanno posto l’accento sulla necessità di sviluppare una maggiore coscienza civile contro la criminalità di ogni sorta, evidenziando che per far ciò occorre formare dei cittadini pienamente coscienti dei propri diritti e dei propri doveri …

“In un punto del suo discorso, però, don Ciotti, sicuramente informato erroneamente, ha asserito che i funerali di Rita Atria erano stati negati dalla Chiesa”.

Dalla lettura di quest’ultimo inciso risulta chiaro, senza ombra di dubbio, dunque, che don Ciotti in quella occasione ha riproposto il “sospetto” avanzato da don Pintacuda, finendo, forse senza rendersene conto, con l’inocularlo nelle menti e nelle coscienze di centinaia di alunni.

Il “parterre” dei presenti, proposto dal prof. Battaglia, mi dà, però, l’occasione di chiarire una situazione che ad un lettore non bene informato potrebbe apparire quantomeno strana, e cioè come mai alla riunione è presente “l’Arciprete” e passa sotto silenzio l’affermazione di don Ciotti, circa il presunto rifiuto da parte della Chiesa di Partanna di celebrare i funerali a Rita Atria. Il mistero è però facile da chiarire: un Arciprete è, sì, presente, ma non è don Calogero Russo, già dimessosi dall’incarico di parroco per superati limiti di età. Quello presente è un “neo arciprete, don A. (Antonio) Civello”, il quale,

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provenendo da altro luogo, dalla nativa Gibellina o da Mazara, città di incardinazione ecclesiale, forse non conosceva i fatti di cui si parlava, anche perché svoltisi forse mentre lui era ancora un semplice seminarista.

Ma i fatti li conosce bene il vice preside; che, infatti, può affermare con convinzione che

“Vero è invece che le esequie funebri e la S. Messa in suffragio della giovane Rita fu celebrata dal nostro Arciprete Calogero Russo al cimitero. Al cimitero e non nella chiesa Madre per volontà dei responsabili dell’ordine pubblico e dei famigliari della defunta. Il contrario, da chiunque sia sostenuto, anche in buona fede, è decisamente falso”.

Evidentemente, il mondo della scuola interessata ha voluto in tal modo stigmatizzare le affermazione del prete piemontese e solidarizzare con don Calogero Russo, definito

“vero testimone di fede e di speranza, sacerdote di grande levatura spirituale, sempre attento ai bisogni di tutti ma soprattutto degli umili e di quanti vengono a trovarsi in difficoltà”.

Così facendo, il prof. Battaglia ha finito anche col testimoniare la veridicità di quanto affermato dallo stesso protagonista, involontaria vittima di una trama assurda, con l’augurio che la sua testimonianza possa servire ad

“aiutare a rientrare nella verità quanti ancora ne rimanessero fuori”.

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CONCLUSIONI

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APPENDICE

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Copia dell’invito diffuso dal Consiglio Pastorale della Chiesa Madre di Partanna per la partecipazione ad un incontro culturale in cui è correlatore p. Ennio Pintacuda. _________________________________________________________

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1° COMUNICATO DELL’ARCIPRETE, DON CALOGERO RUSSO

15 Agosto 1992

A PARTANNA UN “MARCHIO” IMMERITATO ai Partannesi il diritto di rifiutarlo

Carissimi Concittadini, che mi siete fratelli e sorelle nel Signore,

Gli articoli dei giornali e dei periodici e le riprese delle telecamere vengono sotto il termine di “servizi”. In realtà, però, non sempre sono tali. Quale sevizio, infatti, hanno reso a Partanna, a fine luglio u. s. , alcuni “inviati” dalle più note testate e dai canali televisivi che attraversano l’Italia e ne oltrepassano i confini?

E’ stato un vero “servizio”, o non piuttosto un saggio, con sfumature diverse, di come si possa offuscare l’immagine di una comunità civica o religiosa (… l’occasione è scattata da un fatto religioso legato a un dolorosissimo evento umano!), così che alcuni episodi, non determinati dallo “spirito” della comunità, sono diventati, ingiustamente, espressione dell’intera cittadinanza?

Ancora una volta, pertanto, sento il dovere e il bisogno di esprimere alla diletta Partanna una “dichiarazione di amore”, non per vano sentimentalismo o vuoto campanilismo, ma per sincero affetto alla collettività che, non perfetta (… dov’è quella perfetta?), ha uno “spirito” molto diverso da quello emerso dai servizi di taluni connazionali discesi in massa come ad espugnare Partanna, ma che – a loro stesso dire- Partanna non hanno neppure vista, se non al di qua delle porte e delle finestre chiuse.

Direi a questi cari “addetti ai lavori”: Se è già tanto difficile conoscere in breve tempo una singola persona, come avete potuto conoscere in un baleno un’intera comunità che non è soltanto un agglomerato di abitazioni (case o ancora baracche, purtroppo!) o un casuale accostamento di migliaia di persone, ma anche, e soprattutto, espressione di uno “spirito” prevalente, che la qualifica nel concerto di altre comunità sorelle?

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Cosa hanno potuto capire di Partanna, questi amici, numerosi come non mai (e alcuni venuti per la prima volta), piombati qui d’un tratto? Hanno compreso, questi esploratori e lettori di situazioni sensazionali, che il male che condusse alla tragica fine la giovane Rita, non solo non era suo, ma non era e non è neppure di Partanna, considerata come comunità, bensì di singole persone che –di Partanna o di altre località- non rappresentano assolutamente il vero spirito dei partannesi? Quanto riduttiva e distorta, la valutazione su Partanna, fornita da alcuni frettolosi “inviati”!

Personalmente e doverosamente condivido e favorisco il principio della collaborazione con la Verità e la Giustizia, quando si è sicuri (dico: sicuri!) di ciò che può essere oggetto di collaborazione e che si può dimostrare con prove e non soltanto con ipotesi o sulla base del “si dice”. E’ questa una esigenza del bene comune. Ma, ammesso che qualcuno sia informato secondo verità (e non per un vago “sentito dire”) sarebbero essi, gli “inviati”, ad avere diritto di conoscere e di pubblicare testimonianze, esponendo allo sbaraglio uno o più cittadini che poi non sarebbero più in grado di proteggere in alcun modo? Possono essi sostituirsi agli aventi diritto e dovere di inquisire nella ricerca della verità e nell’osservanza della giustizia? Hanno essi il diritto di pronunciare una sentenza di infamia a un’intera cittadinanza o soltanto al primo incontrato, che “non parla” perche “non sa realmente” o perché non ha prove su quanto si vocifera?

(Piacerebbe a te, chiunque tu sia, anche giornalista, essere accusato e condannato sull’onda del “si dice” nei tuoi riguardi? Chi si salverebbe dall’occhio cattivo?):

Quale garanzia offrono i giornalisti a coloro che, a conoscenza sicura della verità, si decidono a parlare? Nient’altro che: cognome, nome, curriculum, recapito e foto sui giornali e magari sul video! E poi? …

Se neppure lo Stato riesce a garantire sempre la riservatezza, l’identità e la vita agli stessi coraggiosi servitori della verità e della giustizia (… Falcone, Borsellino, molti Altri in tempi anche recenti e la stessa Rita ne sono prova evidente), cosa pretendono i giornalisti da quanti “non sanno” realmente o non sono disposti a riferire soltanto al Magistrato?

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Perché, dunque, la stragrande maggioranza che “non sa” (… il malvagio non va in giro a informare la gente delle sue malefatte, ma preferisce il buio!), deve essere bollata da un marchio che non merita? Perchè essere diffamata al cospetto della Nazione e oltre, solo perché i criteri poco corretti adottati da coloro che vogliono far emergere a tutti i costi il “sensazionale” sui giornali o sul video devono prevalere sul rispetto che le è dovuto?

Anche questo è un attentato contro la giustizia, specialmente quando – con poco delicata insistenza e con abile astuzia – si manipolano le dichiarazioni del sincero intervistato il quale, dopo aver detto una cosa, ne legge un’altra completamente diversa che non esprime il proprio pensiero, ma quello dell’intervistatore. Perché prima di pubblicare le interviste, gli “inviati” non si preoccupano di verificare con lo stesso intervistato l’autenticità delle dichiarazioni? Perché essi “tagliano”, come suol dirsi, pensieri che sarebbero più importanti di quanto in realtà viene pubblicato?

No, Partanna non meritava questo!

Molti servizi”, infatti, si sono trasformati in una orchestrata campagna diffamatoria contro una collettività ignara della manovra concertata a suo danno – come dimostra anche la “dipendenza” tra diversi “servizi” – per offuscarne il buon nome: campagna che grida riparazione dinanzi a Dio e agli uomini.

In un contesto determinato da metodi così provocatori, si spiega qualche increscioso episodio tra intervistatori e intervistati. Momenti spiacevoli – è ovvio – che sarebbe stato meglio non fossero accaduti. Ma anche in questo è emerso il gusto poco fine di taluni intervistatori alla ricerca affannosa del “sensazionale”, a scapito della discrezione fraterna cui gentilmente – se non per carità cristiana che non si può pretendere da chi non la conosca, ma almeno per umana correttezza – neppure i giornalisti devono sottrarsi.

Falsi di cronaca
Se la bara della giovane Rita Atria non è stata condotta in chiesa, non è dipeso dall’Autorità ecclesiastica, ma dai Familiari e dall’Autorità preposta all’ordine pubblico. E’ falso affermare il contrario.

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Nessun rifiuto, infatti, da parte della Chiesa, in considerazione dello stato depressivo in cui si è venuta a trovare Rita dopo il barbaro assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta.
– Falsa anche l’affermazione di una giornalista, secondo la quale il Vescovo di Mazara, Carmelo (in realtà si chiama Emanuele) Catarinicchia, avrebbe diramato un telegramma alle Chiese di Partanna, perché, per l’occasione, rimanessero chiuse. E’ stato anzi lo stesso Vescovo, Cui (in conformità ai cànoni che disciplinano la vita della Chiesa) mi ero rivolto per le opportune istruzioni in un caso di suicidio, a decidere per le esequie religiose che sono sempre tali, indipendentemente dal luogo in cui si celebrano: Tempio, Cimitero o altro luogo ritenuto adatto. La negazione delle esequie pubbliche, quando va applicata, vale non soltanto per la chiesa (Tempio), ma anche per ogni altro luogo. Nel nostro caso non c’è stata la negazione, anche se il gesto, oggettivamente inconsulto, rientrasse in essa, in considerazione della non piena lucidità della cara giovane soggiogata da uno stato depressivo.
– Falso ancora quanto è stato scritto sull’”aggiramento” delle norme della Chiesa operato dal prete (cioè dallo scrivente). Tutto è stato condotto alla luce di quel … sole di luglio, inconsueto per gli “inviati”.

– Perché, inoltre , il celebrante non ha pronunciato neppure una volta la parola “mafia”? E’ stata questa un’altra domanda – in contestazione esplicita – da parte di uno dei numerosi “inviati” schierati all’uscita del Cimitero la sera del 31 luglio, rivolta a me che avevo celebrato la Messa esequiale.

Ascolta, giovane “inviato”, e riferisci gentilmente a chi di ragione. Prescindendo dal fatto che quel rito appena celebrato era stato “Liturgia di suffragio” e non un convegno antimafia da situare, opportunamente in altra sede e in altro momento, non è vero che dalla stessa Liturgia non sia venuta potentissima la voce di condanna della mafia e di ogni altra forma di malvagità umana. Ma forse gli “inviati” difficilmente penetrano in profondità nella Liturgia che, in realtà, esige fede e partecipazione spirituale. Essi – non è raro il caso – concentrano l’attenzione sull’omelia del celebrante, non per farne serena sintesi, ma per captare qualche parola da utilizzare secondo

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vedute personali e opinioni di “testata”, trascurando la cosa più importante: il “Kerigma”, cioè l’annuncio della Parola, che è Cristo, in una situazione di dolore e in una realtà che esige saggezza di lettura. E la realtà più grande in quel momento era una Persona umana, in Dio sorella a tutti, la cui vita nel tempo si era chiusa in un modo assai drammatico.

Al di là dell’omelia, alcuni tra i nostri amici “inviati” non hanno neppure avvertito la potenza irresistibile della Parola di Dio a condanna di ogni forma di peccato. Ma anche questa parola, “peccato”, ha fatto scattare una reazione inopportuna, come se fosse stata addebitata alla giovane vittima.

Sorella che durante la celebrazione hai gridato: “Rita non ha peccato: ha parlato!”, non so da dove tu sia; ma ascolta anche tu. Dio solo può giudicare l’uomo sul peccato soggettivo; e, con Lui, la propria retta coscienza. La tua contestazione inopportuna, pertanto, è andata a vuoto, perché nessuno si era pronunciato in proposito. Ma non poteva essere esaltato e additato come esempio un atto oggettivamente in contrasto con la volontà di colui che, per amore, chiama un essere alla vita. Quinto: “Non uccidere!”. (Né altri, né te stesso, ovviamente!)

Dalla mancata osservanza e di ogni altro Comandamento, il bisogno di invocare la divina misericordia, non soltanto per la cara sorella defunta, ma anche per tutti, me e te compresi, Sorella!

Se poi la cultura di morte tende a non suscitare più stupore per il suicidio, il volere di Dio rimane sempre a favore della vita.

Il riferimento al peccato che sta alle radici di ogni evento negativo, quindi, non era giudizio su Rita (per la cui Anima imploravamo misericordia e vita in Dio), ma implorazione di perdono per l’uomo che commette il male (… e chi è senza peccato?) e che, conseguentemente, ha bisogno di misericordia: Avresti fatto meglio, Sorella che hai levato la voce durante la Liturgia, a proporre una preghiera per Rita, dato che si era in un momento di suffragio e non di arringa da tribunale.

– Così pure gli “inviati” – ai quali non manca certamente la capacità di andare “oltre” l’audio e il video – avrebbero fatto meglio a vivere la Liturgia da credenti (… che se qualcuno non lo fosse,

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farebbe bene a non improvvisare facili valutazioni sul sacro). Ma forse qualcuno aveva altro nella mente, al punto che, assorbito chissà in quali pensieri e lanciato chissà verso quali obiettivi da raggiungere venendo a Partanna, non si è accorto neppure della celebrazione della Messa e ha asserito anche che non c’è stata!

– E quante altre falsità oggettive, oltre le innumerevoli inesattezze d’informazione, che non possono essere verificate o rettificate dal lontano lettore dei “servizi”, ma soltanto da coloro che vivono dentro la realtà locale! (sembra che la precisione – forse per la fretta di trasmettere in tempo il “servizio”, senza un minimo di verifica – non sia la virtù forte di taluni giornalisti della cronaca).

Ma quando la mancata esattezza nell’informazione assume il carattere di calunnia e la superficiale lettura degli eventi finisce per imprimere un “marchio” su un’intera cittadinanza, non si tratta più di piccole comprensibili disattenzioni, bensì di grande responsabilità e di un danno grave, con conseguenze imprevedibili per singoli o per l’intera Comunità, la cui immagine rimane offuscata in modo difficilmente rimediabile. (Chi si recherebbe volentieri, a esempio, in una città descritta come “capitale territoriale” della malavita? Chi assumerebbe, per lavoro, un “segnato” dal marchio della mafia, perché cittadino di una tale città? Vi rendete conto, “inviati” e “testate” invianti, del danno morale inflitto a una popolazione pacifica, laboriosa e incamminata sulla via della vera civiltà?).

Perdono di cuore tutto ciò che mi riguarda; ma è giusto che Partanna non rimanga macchiata dalla penna di coloro che l’hanno presentata all’opinione generale quasi città da … evitare, perché i suoi cittadini inspirano ed espirano mafia o qualcosa che da essa deriva, come omertà o connivenza.

Ti ritrovi tu, Partanna cara, in questa qualifica ripugnante e in questo “marchio” umiliante che i tuoi Padri non ti hanno trasmesso?

Come a Palermo, anche a te oggi l’invito: Alzati, Partanna!

Disposti sempre a perdonare, siamo nel diritto e nel dovere di esigere che sia restituita alla nostra Cittadina – o, meglio, alla nostra Cittadinanza – il volto che le è proprio, ovviamente con la doverosa azione e con “servizi” più attenti degli stessi “inviati” dai giornali o

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dalle TV, ai quali incombe, per giustizia, il dovere di rimediare al danno procurato.

Con rinnovato e crescente affetto, Vi desidero progresso ininterrotto nel vero, nel bene e nell’autentica civiltà, quella dell’amore a Dio e al prossimo, mentre ho la gioia di ripetermi

Vostro fratello in Cristo Redentore Sac. Calogero Russo

Partanna 15 agosto 1992 Assunzione della B. V. Maria

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2° COMUNICATO DELL’ARCIPRETE, DON CALOGERO RUSSO

26 Novembre 1997

SUPPLEMENTO AL FOGLIO
“A PARTANNA UN MARCHIO IMMERITATO”

del 15 Agosto 1992
per un chiarimento più dettagliato sulle esequie della giovane Rita Atria celebrate nel cimitero di Partanna il 31 luglio 1992.
– 26 Novembre 1997 –

La S. Messa esequiale in suffragio della giovane RITA ATRIA fu da me celebrata il 31 luglio 1992 nel Cimitero di Partanna e non nella Chiesa Madre per precisa decisione del Maresciallo Comandante la Stazione dei Carabinieri di Partanna e dei parenti della Defunta rappresentati dal cognato sig. Antonio Argento, Maresciallo dell’esercito.

Non appena arrivato a Partanna, il furgone recante la bara della giovane fu fatto sostare nei pressi del rifornimento di Viale Papa Giovanni, in attesa delle decisioni per le esequie. La Chiesa Madre era già aperta e pronta per ricevere la bara e per la celebrazione delle esequie. Si attendeva soltanto la precisazione dell’orario. Su invito telefonico del Maresciallo dei Carabinieri, mi recai alla caserma locale, dove trovai anche il Maresciallo Argento. I due avevano già deciso che le esequie si celebrassero non in Chiesa, ma al Cimitero e in un posto non visibile dall’ingresso. Mi proposero anzi di ritrovarci insieme al Cimitero per la scelta del posto. Cosa che facemmo subito.

Nel pomeriggio, all’orario concordato, io stesso celebrai la S. Messa, in piena osservanza delle norme liturgiche, con l’omelia e con i canti opportuni, come si sarebbe fatto in chiesa. Il resto è descritto sul foglio divulgato nell’agosto successivo.

Questa non è una versione soggettiva dei fatti, ma la verità vissuta dallo scrivente. Il contrario, da chiunque sia sostenuto anche in buona fede (giornalisti o divulgatori di notizie o anche

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commentatori dei fatti) è decisamente falso. La Chiesa locale, infatti, guidata dal Vescovo e operante tramite il parroco della Chiesa Madre (che all’epoca dei fatti, era lo scrivente) non ha alcun motivo di chiedere perdono per il comportamento adottato nei riguardi della compianta Rita Atria, perché tutto è stato compiuto in piena condivisione di dolore e di comprensione.

Personalmente perdono quanti, giornalisti o delatori di professione, hanno affermato o scritto di me; ma è mio dovere gridare alla falsità per quanto ancora, dopo oltre cinque anni, taluni osano addebitare alla Chiesa come colpa: il non avere accolto, cioè, nella Chiesa (Tempio sacro) la bara di Rita Atria.

E, se non c’è colpa, di che cosa e a chi chiedere perdono?

Partanna, 26 novembre 1997, a due giorni dall’incontro di D. Luigi Ciotti e della Sig.ra Rita Borsellino con i ragazzi della Scuola Media.

(Sac. Calogero Russo)

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NOTA
DEL VICEPRESIDE DELLA SCUOLA MEDIA “AMEDEO DI SAVOIA AOSTA”

Da: “La Voce del Belice” di Castelvetrano

Lunedì, 24 novembre u.s. [1997], nell’aula magna della scuola media “A. di Savoia Aosta” di Partanna, si è tenuto un incontro nell’ambito delle attività scolastiche contro la criminalità mafiosa, proposto dall’Associazione “Rita Atria”.

Erano presenti il Preside, alcuni docenti in servizio tra i quali il sottoscritto e, in qualità di ospiti, il Sindaco, il neo Arciprete don A. Civello, alcuni rappresentanti dell’Associazione “Rita Atria”, la signora Rita Borsellino, sorella del compianto Giudice, e don Luigi Ciotti del Gruppo Abele.

All’intervento di apertura e di benvenuto del preside, prof. G. Cavallaro, sono seguiti quelli del sindaco, prof. B. Biundo, della signora Borsellino e di don L. Ciotti.

Da parte di tutti sono venuti contributi interessanti alla lotta alla criminalità in generale. Gli interventi hanno messo in evidenza l’importanza ed il valore della “memoria”, perchè non vengano messi nel dimenticatoio coloro i quali hanno sacrificato la loro vita a garanzia della vita democratica.

La signora R. Borsellino ha letto, tra l’altro, una lettera che Piera Aiello, “testimone di Giustizia” partannese, ha inviato agli allievi della nostra scuola, nella quale ha espresso il suo rammarico per non poter fare ritorno in questo suo paese che ama tanto.

Rispondendo alle domande di alcuni alunni, don Ciotti e la signora Borsellino hanno posto l’accento sulla necessità di sviluppare una maggiore coscienza civile contro la criminalità di ogni sorta, evidenziando che per far ciò occorre formare dei cittadini pienamente coscienti dei propri diritti e dei propri doveri.

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In un punto del suo discorso però don Ciotti, sicuramente informato erroneamente, ha asserito che i funerali di Rita Atria erano stati negati dalla Chiesa.

Vero è invece che le esequie funebri e che la S. Messa in suffragio della giovane Rita fu celebrata dal nostro Arciprete Calogero Russo al cimitero. Al cimitero e non nella chiesa Madre per volontà dei responsabili dell’ordine pubblico e dei familiari della defunta. Il contrario, da chiunque sia sostenuto, anche in buona fede, è decisamente falso.

La precisazione mi pare doverosa, anche perché, accusando di tale omissione la Chiesa locale, viene ad essere coinvolto Mons. Calogero Russo, vero testimone di fede e di speranza, sacerdote di grande levatura spirituale, sempre attento ai bisogni di tutti ma soprattutto degli umili e di quanti vengono a trovarsi in difficoltà.

Questa mia testimonianza ha come unico intento quello di aiutare a rientrare nella verità quanti ancora ne rimanessero fuori.

Ninni Battaglia Vice Preside della Scuola Media “A. di Savoia Aosta” di Partanna

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INTERVISTA
A DON CALOGERO RUSSO

Da: La Sicilia, mercoledì, 7 gennaio 1998, pag. 19

– Parla Don Calogero Russo –
“Ecco la verità sui funerali della povera Rita Atria”

Partanna – Don Calogero Russo appare provato nel fisico, ma non sembra intenzionato ad abdicare di fronte agli acciacchi che avanzano con l’età; lo spirito, infatti, è quello combattivo di un prete che da mezzo secolo professa il Verbo in una realtà – quella partannese – che ha conosciuto i lunghi anni della guerra di mafia.

Ha subito minacce Don Russo, ricevuto telefonate e lettere anonime sature di insulti. Tutto ciò a partire dal 31 luglio 1992, giorno in cui la Chiesa locale si sarebbe rifiutata di celebrare i funerali di Rita Atria, la giovane collaboratrice di giustizia – che con le sue dichiarazioni stava contribuendo a far luce sulle vicende di mafia della propria città – morta suicida a Roma, pochi giorni dopo la strage di via D’Amelio.

Ha sofferto in silenzio don Russo, serbando integra la tempra del prete “all’antica”; rispettoso delle forme e ligio ai precetti del diritto canonico. C’è chi ha sostenuto –e continua a sostenere- che quei funerali non ci sono mai stati e che, anzi, il Vescovo di Mazara, Emanuele Catarinicchia, avrebbe diramato un telegramma alle chiese di Partanna affinchè, per l’occasione, restassero chiuse.

Adesso parla don Russo, parla dopo che don Luigi Ciotti – presidente del gruppo “Abele” – intervenendo proprio a Partanna, a un convegno, ha rimesso il dito sulla piaga affermando che “la chiesa locale non capì fino in fondo il dramma di Rita Atria, negandole quei funerali che solo dopo cinque anni abbiamo avuto modo di celebrare” (don Luigi Ciotti celebrò, infatti, lo scorso luglio la messa in suffragio di Rita, nell’anniversario della morte (n.d.r.)

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“Fui io ad officiare i funerali – afferma don Russo – al cimitero e non in chiesa, per volere delle forze dell’ordine e dei familiari della defunta, don Ciotti è stato informato male”.

Don Russo narra come si svolsero i fatti: “Quel giorno ci stavamo preparando per celebrare il rito nella Chiesa Madre, il Vescovo non inviò alcun telegramma di divieto, anzi fu lui a decidere per le esequie religiose; le porte della chiesa erano già spalancate in attesa del feretro quando all’improvviso fui convocato dai carabinieri. Mi recai in caserma dove mi aspettavano il maresciallo Bonfiglio (allora comandante della stazione dei carabinieri di Partanna, ndr) e un maresciallo dell’esercito, tale Argento, cognato di Rita e perciò in rappresentanza della famiglia, mi fu detto che i funerali dovevano tenersi al cimitero, per motivi d’ordine pubblico. Facemmo un sopralluogo e il maresciallo Bonfiglio pretese che si scegliesse un posto che non fosse visibile dall’esterno. Così fu fatto; celebrai le esequie come prevede il diritto canonico, senza omettere nulla. Dico questo –conclude- per amore di verità e perché si faccia finalmente chiarezza su questa vicenda”.

Ritiene ingiusto che su Partanna continuino a persistere stereotipi che l’hanno bollata come terra di mafia, di gente omertosa. “Nessuno – afferma rammaricato – ha il diritto di pronunciare una sentenza di condanna per una intera collettività, quando a rendersi colpevoli di atrocità sono solo pochi individui. Condivido e favorisco il principio della collaborazione con la giustizia, quando si è sicuri, sottolineo sicuri, di ciò che può essere oggetto di collaborazione e che può dimostrarsi con prove e non soltanto con ipotesi; nessuno può negare ciò che è successo a Partanna e comunque oggi la città è cambiata”.

(Vincenzo Di Stefano)

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LETTERA DELL’ARCIPRETE DON CALOGERO RUSSO

“Personale”

Rev.mo e Carissimo D. Ciotti, Sia Gesù amato da tutti i cuori!

Partanna 25 gennaio 1998

A DON LUIGI CIOTTI

La Sua venuta a Partanna nel novembre scorso, per l’incontro con i ragazzi della Scuola Media, ha lasciato tra i molti semi buoni, per i quali mi sono congratulato con Lei e con la Sig.ra Borsellino, un puntino oscuro che sarebbe stato trascurabile se non avesse avuto riferimento al comportamento della Chiesa locale nei riguardi della compianta giovane suicida Rita Atria.

Nell’agosto 1992, subito dopo le esequie della giovane, avvenute il 31 luglio precedente, organi di informazione sollevarono ingiustamente un’ondata di disappunto contro la Chiesa che – a loro gratuita affermazione – avrebbe negato le esequie alla Giovane. Ne seguì una nutrita campagna contro la Chiesa da parte di alcuni manipolatori della cronaca, fino all’affermazione che le esequie furono finalmente celebrate dopo cinque anni su iniziativa dell’Ass.ne Rita Atria di Milazzo e di Don Luigi Ciotti.

Così informato, Lei certamente non poteva dire il contrario e, nell’incontro di novembre alla Scuola Media di Partanna, ha confermato l’affermazione.

Carissimo Padre, le cose si sono svolte in modo diverso e nessuno può descriverle meglio di chi le ha vissute in prima persona, come lo scrivente che, per amore di verità e per fraterno affetto, non vorrebbe che D. Luigi, solo perché male informato, si muovesse sulla via del falso. Qui c’è di mezzo, non tanto la mia persona – che sarebbe cosa del tutto insignificante – ma la stessa Chiesa locale.

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Le accludo, pertanto, alcuni fogli che gentilmente, quando ne avrà il tempo, vorrà leggere, perché si ristabilisca la verità e non si insista ancora nel dire che la Chiesa deve chiedere perdono e rimediare al suo operato.

Non avrei difficoltà a chiedere, con la Chiesa, perdono: ma a chi e per quale colpa?

Le sarei grato, D. Luigi, se, dopo aver letto la verità – quella vissuta in prima persona e d’intesa con il Vescovo e con tanti testimoni – vorrà adoperarSi a far rientrare in essa quanti dell’Ass.ne Rita Atria o di altre convinzioni, non desistono dall’accusare la Chiesa locale.

Dai fogli allegati alla presente potrà rilevare quanto accadde realmente in quei giorni, nei quali, fra l’altro, gli inviati dai giornali e periodici a raggio nazionale inflissero a Partanna un marchio non meritato. Non Le parlo degli insulti e degli improperi da me ricevuti, come parroco, allora, della Chiesa Madre. Ma ho già subito perdonato e posso dirLe che nessun rancore rimane per questi amici che hanno addebitato alla Chiesa e a me colpe in realtà non commesse. Rimane soltanto cordialità, condivisione delle loro buone intenzioni e carità nella comunione in Cristo e nella verità.

Perdoni, D. Luigi carissimo, e mi abbia sempre fraternamente Suo nel Signore

Sac. Calogero Russo
Via Mazzini, 35, Tel. (0924) 87072 91028 PARTANNA / TP

P.S. – Oltre il foglio divulgato il 15 agosto 1992, allego copia di recenti interviste che ho dovuto rilasciare per amore di verità. Più che della parte elogiativa nei miei riguardi, che avrei voluto non avessero posto nel lavoro degli intervistatori, voglia tener conto delle affermazioni responsabili sullo svolgimento dei fatti; affermazioni che potrei confermare con giuramento e dinnanzi a chiunque.


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